Il rapporto tra il cinema e la Shoah è uno dei problemi su cui a lungo si sono interrogate la critica e la teoria cinematografica, ma è anche uno dei punti da cui meglio si osserva la complessità del rapporto tra cinema e storia. Anche se breve, una panoramica sui principali film sulla Shoah non può constare solo dell’enumerazione di alcune occorrenze per quanto significative. Deve tenere conto anche dei discorsi sociali (interpretazioni, teorie, dibattiti) che da sempre hanno accompagnato le modalità di rappresentazione della Shoah sullo schermo, che le hanno legittimate e commentate, che hanno delimitato il campo del raccontabile. Storia di immagini e di parole, di visibile ed enunciabile: storia culturale.
Il paese in cui meglio si coglie questo doppio piano di sviluppo del discorso sull’ Olocausto e la Shoah è la Francia, patria di Alain Resnais, autore con Notte e nebbia (1955) di un primo grande modello di messa in scena dei campi di sterminio nell’ambito del cinema documentario, ma anche patria della critica cinematografica moderna, per merito di una serie di critici e futuri registi (Rivette, Rohmer, Truffaut, Godard, Chabrol) che non mancheranno di dire la loro anche sulla rappresentabilità dei campi. Commissionato dal Comité d’histoire, ritirato a Cannes per non turbare i tedeschi (Resnais chiosa: «Non sapevo che al festival di Cannes il governo nazista avesse una sua rappresentanza»), Notte e nebbia procede su un doppio piano: un montaggio di immagini documentarie in bianco e nero girate (dalle truppe alleate e non solo) all’interno dei campi di concentramento e di sterminio alla fine della guerra, e le immagini a colori girate dal regista sugli stessi luoghi, ora abbandonati. Ne deriva un contrast tra l’evidenza dell’orrore testimoniato dai documenti visivi originari e la cancellazione delle tracce dell’orrore stesso nelle immagini al presente. Le riprese a colori contornano il documentario, gli fanno da cornice.
Tratto da Il cinema di fronte alla Shoah di Claudio Bisoni - Storicamente, 6 (2010). ISSN: 1825-411X. Art. no. 20. DOI: 10.1473/stor65