Steven Spielberg è forse l'unico regista che ha accompagnato tutta la mia carriera cinematografica, e con questo intendo la carriera da spettatore al cinema. Ci sono registi come Robert Zemeckis e Richard Donner che per me sono indimenticabili, ma si sono limitati a pochi lavori che ho apprezzato fino in fondo. Oppure altri come Wes Anderson e i fratelli Coen che per quanto io ammiri, ho scoperto tardi oppure hanno visto i loro esordi quando ero già cresciuto. O ancora altri come Alfred Hitchcock, Federico Fellini e Sergio Leone le cui opere, per questioni di età, ho potuto seguire solamente in televisione. Il primo film che ho visto al cinema che non fosse un cartone animato è stato E.T. l'extraterrestre. Negli anni, ho accompagnato l'intrepido Indiana Jones alla ricerca del sacro Graal, vissuto con i prigionieri inglesi nella Cina occupata, partecipato allo sbarco in Normandia, sono inorridito per le atrocità dell'Olocausto, ho osservato i dinosauri a bordo di una jeep, inseguito un falsario attraverso tutti gli aeroporti del mondo e molto altro ancora. Proprio come il piccolo Sammy scopre che il cinema è magia quando, paralizzato dalla paura, entra in una sala buia e piena di gente per assistere alla proiezione del Più grande spettacolo del mondo, così io ho visto E.T. una domenica pomeriggio con la sala strapiena, dopo che tutti i miei amici ci erano già stati e in quello che era il mio mondo non si parlava d'altro. E ho vissuto la stessa emozione vedendo Elliot e i suoi amici prendere il volo in sella alle loro BMX. Con Spielberg ogni film è diverso, racconta qualcosa di nuovo, inaspettato, inedito anche per lo stesso regista. Dagli esordi non fa che sperimentare, cimentandosi nei generi più diversi, offre al mondo sempre personaggi nuovi e complessi. Salta da un film storico a uno di fantascienza, da uno biografico a una commedia, da uno fantastico ad uno tragico. Le sue opere non avranno forse la potenza di Christopher Nolan, la grottesca follia di Terry Gilliam o Tim Burton, la visione schietta e realistica della vita di Clint Eastwood e Francesca Archibugi, la durezza di Kathryn Bigelow e Martin Scorsese. Ma trasmettono l'incanto del cinema, della finzione, dell'arte di creare storie o di rappresentare vicende reali con uno sguardo personale e mai distaccato. E l'immagine che ho di lui è di un uomo con barba e cappello alla pescatora, concentrato mentre con un occhio strizzato e l'altro dietro il mirino della macchina da presa, è partecipe del suo lavoro con la stessa ingenuità con cui il piccolo Sammy riprende un trenino giocattolo che deraglia all'infinito nella penombra della sua soffitta.