Siberia, luogo di miti e sciamani

Terra di pionieri, inferno per i dannati

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Andras
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Ultimo aggiornamento: 26/01/2023

La Siberia non è solo una realtà storico-geografica e politico-amministrativa, essa è anche una complessa costruzione mentale caratterizzata da confini dinamici difficilmente definibili, è un luogo di quella geografia immaginaria generata da testi, immagini e discorsi che non di rado si legano a modelli culturali archetipici, al materiale di cui sono fatti i miti. Il nome Siberia (in russo Sibir’) viene tradizionalmente associato alle temperature più basse registrate sul globo terrestre, a spazi incommensurabili, ma disabitati e inospitali, che in un passato non troppo lontano sono stati luogo di esilio e di deportazione e, quindi, di immani sofferenze. Allo stesso tempo, esso richiama alla mente ambienti naturali grandiosi e incontaminati, inestimabili giacimenti di materie prime e un variegato paesaggio antropologico-culturale, risultato di un lungo percorso che parte dalla preistoria e che testimonia come l’uomo in queste terre abbia saputo dar prova della sua straordinaria capacità di adattamento al clima e all’ambiente.
Com’è noto, la Siberia è stata una delle più antiche e grandi colonie dell’età moderna. … Le peculiari circostanze che hanno determinato l’acquisizione politico-geografica e socio-culturale della Siberia [vedi a tal proposito la scheda Wikipedia La conquista russa della Siberia] hanno profondamente influenzato il rapporto della nazione russa con questo territorio, una relazione che ha trovato ampio riflesso nella cultura e nella letteratura di questo paese. Sin dai tempi antichi la Siberia è stata caratterizzata da una fama mutevole: da un lato, le sue favolose ricchezze – in primis le pellicce preziose, il cui commercio fu il fattore determinante della conquista di questo territorio – hanno alimentato speranze e sogni di benessere economico e commerci fiorenti. Ma ancora nell’Ottocento i russi europei associavano la Siberia a concetti del tutto opposti, perlopiù legati all’ambiente selvaggio e inospitale e al suo panorama umano fatto di avanzi di galera e nomadi primitivi.
Negli ultimi vent’anni la ricerca umanistica in Russia ha dedicato particolare attenzione allo studio di quel complesso di idee, rappresentazioni e associazioni mentali generate nella coscienza dei russi dall’immagine dell’immensa regione siberiana, idee e rappresentazioni che a partire dai primi decenni del XIX secolo trovarono ampio riflesso nei periodici e nelle opere letterarie, nelle narrazioni di viaggio e nei resoconti delle spedizioni geografiche, ma anche nei canti degli ergastolani. Dall’esame di questo ampio e variegato materiale emerge l’immagine della Siberia come di un’«altra Russia», ossia di un territorio dotato di un’identità propria, ‘diversa’ rispetto alla Russia europea sotto il profilo socio-culturale, etnografico e antropologico, una regione di cui i russi europei molto spesso avevano una conoscenza scarsa e ammantata di stereotipi e pregiudizi.
Com’è noto, la letteratura russa ottocentesca ha contribuito in modo decisivo a codificare la radicale ridefinizione dello spazio che ha accompagnato la nascita nel Settecento e la costante crescita nei secoli successivi dell’Impero zarista, che sotto lo zar Nicola I si sviluppava ormai su tre continenti – Europa, Asia e America del Nord (Alaska). La rappresentazione della Siberia contrassegna con la sua presenza alcune pietre miliari della letteratura russa del XIX secolo: citiamo, a titolo di esempio, le Memorie di una casa morta di F. Dostoevskij, Resurrezione di L. Tolstoj, L’isola di Sachalin di A. Cechov. Oggi la critica parla a buon diritto di un vero e proprio «testo siberiano», ossia di un complesso semanticamente e linguisticamente coerente di opere caratterizzate da un comune orientamento geografico-spaziale e storicoculturale. Intessuto di una serie di motivi archetipici, i quali elevano «la mutevole realtà sociopolitica all’incrollabile istanza del mito», questo ‘testo’ ci presenta una duplice interpretazione della Siberia, che oscilla tra un polo positivo e uno negativo: da un lato essa è una sorta di ‘purgatorio’, uno spazio iniziatico attraversando il quale si acquisisce un nuovo status sociale e spirituale; dall’altro lato, essa appare ‘terra promessa’, luogo mitico dell’utopia accarezzata da contadini fuggitivi, gruppi settari, ma anche da alcuni riformisti politici, di una società più giusta ed egualitaria.
La peculiare collocazione geografica del ‘corridoio’ siberiano, sin dalla preistoria via di comunicazione tra Est e Ovest, tra Europa e America, ha facilitato il passaggio di ondate migratorie «passionarie», creando le premesse per il variopinto tessuto antropologico e culturale che ancor oggi lo caratterizza. … Il progetto di inclusione della Siberia nella sfera culturale russo-europea ha portato, prima nel periodo dell’Impero zarista e poi durante la costruzione della Siberia socialista, a una pervasiva russificazione di vari ambiti della vita della macroregione, soprattutto nelle aree più urbanizzate, con una prevalente presenza russa ai vertici della gestione politico-amministrativa.
Spesso definiti in modo troppo generico come ‘popoli siberiani’, i gruppi etnici originari della Siberia rappresentano una vera e propria galassia di nazionalità. Accanto ad alcune popolazioni – gli Altai, i Buriati, i Chakassi, gli Jakuti e i Tuvani – il cui rilievo politico e socioculturale nella Federazione Russa è reso tangibile dalla presenza nel suo ordinamento delle corrispondenti Repubbliche etniche, sul territorio della Russia asiatica si concentra la maggior parte dei cosiddetti ‘piccoli popoli’, ossia i gruppi etnici minoritari del Nord, della Siberia e dell’Estremo Oriente della Federazione Russa: si tratta complessivamente di una trentina di gruppi appartenenti a differenti famiglie linguistiche e praticanti confessioni e culti tradizionali, ognuno dei quali assomma al proprio interno, nel migliore dei casi, poche decine di migliaia di rappresentanti, un’esiguità numerica che è l’esito di repressioni, alcolismo, malattie e dello sfruttamento indiscriminato delle risorse ambientali. Su di esse infatti si fonda l’economia di queste culture, caratterizzate da una stretta interrelazione tra uomo e natura e regolate da norme comportamentali tradizionali di tipo ecologico.
Gli anni della costruzione della Ferrovia Transiberiana (1891-1916), la strada che «portava i germi di un’ampia trasformazione di questo territorio» (Rasputin 2006), segnano un periodo di consistente aumento dei flussi migratori dalla Russia europea, cui si accompagnò una sorprendente accelerazione dell’ammodernamento e dello sviluppo economico del territorio e l’attuazione delle riforme amministrative e di governo lungamente attese: all’alba del XX secolo la Siberia veniva insomma integrata a un livello totalmente nuovo nell’unità simbolica dell’Impero, un passaggio che diede un ulteriore importante impulso allo sviluppo della sua autocoscienza culturale. Questa tendenza subì una brusca inversione di marcia durante la lunga e sanguinosa guerra civile che vide l’affermazione anche in Siberia del potere bolscevico, una svolta politica epocale che aprì un’ulteriore fase di quella colonizzazione ‘interna’ che sin dalle origini ha caratterizzato la storia dell’acquisizione e del controllo dell’immenso territorio a Est degli Urali da parte dei russi.
L’ininterrotto percorso di sviluppo e di ricerca d’identità della Siberia mostra ancor oggi aspetti grandiosi e contraddittori. In particolare, l’interazione tra cultura umana e natura attraversa oggi un momento cruciale: le complesse sinergie tra politiche di sviluppo globale e strategie geopolitiche rischiano di mettere a repentaglio i delicati equilibri ambientali del territorio. Al riguardo, i punti all’ordine del giorno nel cammino di crescita della macroregione sono lo sfruttamento delle risorse energetiche (in primo luogo, l’estrazione degli idrocarburi, che rappresenta il fulcro dell’‘economia di rendita’ della Federazione russa), il rinnovamento del tessuto urbanistico e la costruzione di moderne infrastrutture, lo sviluppo del potenziale tecnologico-industriale e il potenziamento dell’offerta turistica che negli ultimi anni attrae flussi sempre maggiori (soprattutto dai paesi asiatici confinanti – Mongolia, Cina e Corea del Sud) ed è destinato a diventare uno dei fattori determinati dello sviluppo socio-economico della Siberia.
Tratto da:  Adalgisa Mingati, Il mito siberiano nella storia, nel turismo e nelle culture. In luogo di un’introduzione, in: La Siberia allo specchio. Storie di viaggio, rifrazioni letterarie, incontri tra civiltà e culture, Università degli Studi di Trento. Dipartimento di Lettere e Filosofia.

Punto di partenza e lettura introduttiva di questo breve percorso può essere la raccolta di articoli pubblicati dal Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento a cura di Adalgisa Mingati:
La Siberia allo specchio. Storie di viaggio, rifrazioni letterarie, incontri tra civiltà e culture
Sommario del libro
Siberia_allo_specchio.pdf


Suggerimenti sitografici:

SIBERIA E RUSSIA NELLA STORIA
I popoli delle steppe:

Guerrieri mongoli nel Jāmiʿ al-tawārīkh di Rashīd al-Dīn (1305–1306)

Sin dai tempi più remoti la Siberia era abitata da tribù di varia provenienza ed appartenenza.  Gli Sciti – un gruppo di tribù indoeuropee di ceppo iranico – migrarono, partendo dal sud e dall’ovest asiatico, verso la Siberia sudoccidentale. Questo popolo ben noto agli antichi Greci per la sua bellicosità ed il suo nomadismo a cavallo si stabilì soprattutto lungo le rive dell’Alto e Medio Jenisej (Cultura di Tagar fino al 3º sec. a.C.) e infine anche nei Monti Altai (la Cultura di Pazyryk, quale più recente evoluzione della civiltà scita - 3º sec. a.C.) lasciando numerose testimonianze funerarie – i Kurgan, monumenti funebri dell’aristocrazia nomade – su buona parte del territorio siberiano e russo nonché reperti archeologici attestanti un elevato grado di perizia metallurgica.
L’impero scita soccombeva sotto le ondate migratorie di varie popolazioni delle steppe asiatiche scaturite a loro volta  dall’espansionismo delle tribù Hsiung-Nu (diventati poi noti in Europa sotto il nome di Unni). Di seguito si stabilirono vari Khanati costituiti da confederazioni tribali turcofone (Khirghisi) che  vennero conquistati successivamente dalle orde mongole di Gengis Khan (13º sec. D.C.).
La storia della Siberia sarebbe comunque incompleta senza l’apporto di altre popolazioni, quelle del Settentrione che, dato l’invalicabile ostacolo della Taiga, non erano mai soggette al potere dei Gengisidi. Si tratta dei popoli ugro-finnici, dei Samoiedi e Manciu-Tungusi. Tra gli Ugrici la confederazione tribale degli Ungari si era spostata dagli Urali attraverso il territorio russo-ucraino per stabilirsi intorno al 9º secolo lungo il medio corso del Danubio. I Jurchi, un popolo tunguso controllava  nel 12º-13º già tutta la Cina settentrionale. Successivamente cambiarono il loro nome in Manciù per stabilirsi nell’attuale territorio della Manciuria.
L’Impero Mongolo fu comunque di breve durata e si sfaldò nei vari Khanati che erano succeduti a quello dell’Orda d’oro (14º-15º sec.). Uno di questi era il Khanato di Sibir. Le strutture statali inizialmente mongole subirono nel corso dei due secoli successivi un processo di turchizzazione per via del preponderante elemento etnico-culturale tataro. Quest’ultima impronta caratterizzò anche il Khanato di Sibir che sorse nel 15º sec.sulle ceneri dell’Orda d’Oro per cadere infine sotto i colpi del condottiero cosacco Jermak Timofeevič alla fine del 16º sec.
Storia della Siberia (Wikipedia)
Quand’è che la Siberia era uno Stato autonomo? (Russia beyond)

Conquista russa:

Vasily Surikov, La conquista della Siberia

I primi contatti dei russi con la Siberia risalgono alla Repubblica di Novgorod del 12º secolo. Da allora in poi alcuni clan di cacciatori divennero  tributari del potere russo prima e mongolo dopo. Con il tramonto dell’Orda d’oro nel 16º secolo si intensificarono le incursioni ed immigrazioni da parte di avventurieri e coloni slavofoni. Un ruolo centrale vi giocò la famiglia nobile degli Stroganov che, già forti dei loro possedimenti terrieri intorno alla città di Perm, godete di numerosi privilegi da parte dello zar Ivan IV. Le truppe degli Stroganov erano il più delle volte costituite da cosacchi che aprirono la strada ai primi coloni, generalmente detenuti fuggitivi, disertori e nobili impoveriti. Fu uno di questi condottieri mercenari, l’atamano cosacco Jermak Timofeevič a muovere, a seguito di rappresaglie tatare attuate in risposta alle numerose incursioni russe, una truppa variopinta contro il territorio occidentale della Siberia conquistando alla fine il Khanato di Sibir a cavallo tra 16º e 17º secolo. La caduta e morte dell’ultimo khan tataro segnò in Siberia l’inizio della colonizzazione russa.

La fondazione di numerose città, generalmente lungo le rive dei maggiori fiumi siberiani quali Ob, Jenisej e Lena, ed il raggiungimento del Pacifico già nel 1636 non significava comunque già il controllo sull’immenso territorio ad est degli Urali. Le distanze, la morfologia del territorio, la durezza del clima nonché le resistenze da parte dei popoli indigeni – Kazaki a sud, Buriati intorno al Lago Bajkal - , fecero sì che la conquista della Siberia poteva dirsi conclusa soltanto con il 18º secolo.
L’organizzazione dei coloni si presentava per le condizioni feudatari di allora sorprendentemente libera e collettiva. L’assenza dell’aristocrazia, la lontananza del potere statale  favorivano una società di contadini, mercanti e cosacchi relativamente egualitaria. L’istanza zarista era rappresentata dal Voivoda. Quest’ultimo approfittando della distanza da Mosca governava spesso con arbitrio ma trovava nella popolazione, che non poche volte riuscì a destituirlo , spesso un regolativo. Con Pietro il Grande cambiò la politica colonizzatrice. Coloni russi ed ucraini venivano insediati sistematicamente lungo i corsi dei grandi fiumi, i popoli indigeni, finora lasciati liberi e solo obbligati di versare annuali tributi in pellicce, venivano evangelizzati forzatamente. A questi si aggiunsero, a partire del regno di Caterina II, i migliaia di deportati e confinati (Katorga). Con il fallimento dell’Insurrezione decabrista nel 1826 e della Rivolta polacca del 1863 aumentava il numero dei deportati fino ad arrivare alla fine del 19º secolo ai 19.000 confinati annui.
Una forte spinta all’immigrazione era data prima dall’abolizione della servitù di gleba – liberando l’innumerevole manodopera finora asservita – e poi dall’avanzamento del tratto ferroviario della Transiberiana (1897-1911): in quel lasso di tempo la Siberia si trovò invasa da più di 3,5 milioni di russi. Questa rapida crescita  dell’immigrazione faceva sì che il 90 % della popolazione siberiana fosse costituito da russofoni.
Come nel Wild West statunitense, anche qui in Siberia si stava formando un tipo socio-culturale, antropologico particolare, differente da quello del territorio ad Ovest degli Urali. L’abitante siberiano si distingueva per la sua relativa libertà sociale, il forte senso pioneristico individuale ma anche collettivo e la capacità di ascesa sociale anche per soggetti poveri o altrove diffamati come criminali, dissidenti ed oppositori.
Conquista russa della Siberia (Wikipedia)
Così la Russia conquistò l’Asia centrale (Russia beyond)
Ermak Timofeevič (Wikipedia)
Cosacchi (Wikipedia)
Ecco a voi Ermak, l’eroe russo che con un manipolo di uomini conquistò la Siberia (Russia beyond)
Come la Russia ha annesso l’Estremo Oriente (Russia beyond)

Guerra civile russa:

1ª armata a cavallo

Nell’estate 1918 nacquero, a seguito della Rivoluzione d’Ottobre, ben 19 governi autonomi in Siberia “guidati” da signori della guerra sanguinari – tra essi Aleksandr Vasil'evič Kolčak , G. M. Semjonow, Baron Ungern-Sternberg o Ivan Kalmykow - che si erano schierati contro le truppe bolsceviche. Queste entità statali avevano breve vita, malgrado l’appoggio militare ed economico sia del Giappone sia del Regno Unito e degli Stati Uniti d’America. Centri di coordinamento delle varie fazioni delle truppe bianche, leali agli Zar, furono soprattutto le città di Vladivostok e Harbin, dove si radunava quanto era sopravvissuto all’avanzata degli eserciti rivoluzionari. L’autonomia di questi territori finì con la conquista da parte dell’Armata Rossa sotto il generale Michail Vasil'evič  Frunse.

A partire dal 1929 iniziò, secondo le direttive dei piani economici quinquennali, la forzata industrializzazione della Siberia, spesso inaugurata con l’uso della manodopera di detenuti e confinati politici nei GUlag. Progetti giganteschi venivano realizzati – si pensi al Kombinat metallurgico di Magnitogorsk negli Urali, alle dighe sui grandi fiumi per la produzione di elettricità  - prima e dopo la guerra mondiale.  Quest’ultima vide lo spostamento delle capacità produttive sovietiche ad Est degli Urali con il trasferimento di intere fabbriche, migliaia di centinaia di lavoratori e macchinari industriali, ma anche all’invio di truppe siberiane verso il fronte di Mosca e di Stalingrado contribuendo così decisivamente  alla vittoria finale sulla Germania nazista.
Lo sfruttamento intensivo delle risorse primarie del sottosuolo siberiano (gas, petrolio e metalli) rappresenta un notevole plusvalore nell’economia dell’allora Unione Sovietica  e dell’odierna Confederazione russa ed un’efficace mezzo di pressione nella politica estera. Il prezzo pagato fu invece estremamente alto dal punto di vista ecologico. Interi territori sono stati inquinati e distrutti al punto da far scendere l’aspettativa di vita media della popolazione e salire il tasso di mortalità infantile a livelli del Terzo Mondo. Numerose furono le catastrofi ambientali di entità enormi come quella del 2020 a Norilsk.

i Bianchi
:
Armata bianca (Wikipedia)
Repubblica di Siberia (Wikipedia)
Ucraina verde (Wikipedia)
Stato cosacco di Transbajkalia (Wikipedia)
Roman von Ungern-Sternberg (Wikipedia)
Governo provvisorio del Pramur'e (Wikipedia)
Rivolta jakuta (Wikipedia)

i Rossi:

Repubblica dell'Estremo Oriente (Wikipedia)

CLIMA, FLORA, FAUNA NELLA PREISTORIA
Il Parco del Pleistocene è un progetto climatologico ed uno sperimento ecologico supportato scientificamente nella Siberia orientale. Lungo il corso inferiore del fiume Kolyma. La finalità  del progetto iniziato dallo scienziato Sergey Zimov prevede la ricostruzione del tipico paesaggio pleistocenico con la presenza di numerose specie erbivore come renne, buoi muschiati, alci, cavalli della Jacuzia, wapiti dell’Altai, bisonti, cammelli battriani ecc. un piano avveniristico prevede il reinsediamento del mammut lanoso qualora si riesca a revitalizzarlo mediante la ingegneria biologica. Questa steppa dei mammut dovrebbe contribuire a procrastinare il riscaldamento globale e quindi la scomparsa del permafrost secondo l’ipotesi dei megaerbivori sviluppata dallo scienziato russo.
La premessa di tale teoria è il dato scientifico che il suolo artico congelato dal permafrost contiene circa il doppio del diossido di carbonio attualmente esistente nell’atmosfera. La liberazione di tale gas, e soprattutto del metano ad esso associato provocherebbe un aumento catastrofico dell’effetto serra. La presenza dei molti erbivori, come ai tempi del Pleistocene, ritarderebbe il venir meno del permafrost causando, per via degli erbivori, la distruzione del manto nevoso invernale con il suo effetto isolante  e quindi un ulteriore raffreddamento degli strati del suolo. In più aumenterebbe la steppa pleistocenica progressivamente per tutta la durata dell’anno l’effetto albedo sì da diminuire  il riscaldamento del terreno.
Cosa succederà se dovesse sciogliersi il permafrost? (Russia beyond)
Il riscaldamento globale minaccia i popoli nomadi dell’Artico siberiano (Russia beyond)
Cos’è il Parco del Pleistocene e può davvero frenare il surriscaldamento globale? (Russia beyond)
La soluzione siberiana (ANSA)
La Siberia è la “patria dei mammut”, ma davvero potrebbero essercene ancora di viventi? (Russia beyond)
Viaggio tra i misteriosi petroglifi dell’Estremo oriente che ci raccontano l'era dei mammut (Russia beyond)
Evento di Tunguska (Wikipedia)

CIVILTA', CULTURE, ETNIE

Sciamano di una tribù siberiana

Prime sicure testimonianze storiche circa il quadro etnico della Siberia si hanno a partire dal 1º millennio a.C. quando le civiltà confinanti venivano in contatto con i popoli delle steppe. A nord del Mar Nero e del Mar Caspio comparivano nomadi a cavallo, registrati nelle fonti greche, assire e persiane ed attribuibili al gruppo linguistico indoiranico (come gli Sciti e Sarmati).  Contemporaneamente nacquero primi resoconti cinesi circa la presenza di popoli nomadi sui confini nordoccidentali dell’Impero. Tra questi spiccano gli Hsiung-Nu che, una volta invasa l’Europa orientale e centrale, entrarono nella nostra storia con il nome di Unni. A partire dall’onomastica unna si è tentato di assegnare la loro lingua alla famiglia delle lingue turche, protomongole (appartenenti alla famiglia delle lingue altaiche) o ienisseiane.
Con l’inizio del Medioevo si assistette alla scomparsa dei popoli iranici ed alla progressiva espansione dei popoli turchi fino ai confini orientali dell’Europa e del Nordest siberiano. A nord della cintura delle steppe asiatiche erano insediate nei tempi preistorici portatori di lingue paleosiberiane ed uraliche. Anche qui si ebbe con il Medioevo entrante il prevalere di popoli appartenenti alla famiglia linguistica turca.
Oggigiorno si distinguono i popoli indigeni della Siberia per la loro appartenenza alle famiglie linguistiche altaiche, uraliche e paleosiberiane.  Quella altaica rappresenta il gruppo più numeroso con i popoli parlanti lingue turche (Yakuti, Uiguri, Kirghisi, Kazaki, Tatari e Turkmeni in Siberia; Turchi, Azeri, Tatari e Turcomanni in Europa/Asia minore) , mongoliche (Mongoli, Buriati; Calmucchi ad ovest del Mar Caspio) e tunguse (Jurchi, Evenchi, Manciù). Le lingue uraliche si dividono in quelle ugro-finniche (Mansi e Chanty al di là degli Urali; in Europa Sami/Lapponi, Careli, Finnici, Estoni, Lettoni e Magiari) e samoiede (Nenci ed Enzi). Il paleosiberiano comprende infine una serie di lingue non imparentate con le grandi famiglie linguistiche, ma anche irrelate tra di loro. Esse prendono il più delle volte il nome di lingue isolate e sono minacciate dall’estinzione. Vi si associano etnicamente i così detti piccoli popoli indigeni siberiani. Si tratta di gruppi piccoli fino a piccolissimi (200 persone) che, se inizialmente oggetto di una protezione particolare da parte dei primi governi rivoluzionari (1926/27), vennero successivamente sottoposti ad un regime di stretto controllo sociale (sotto lo stalinismo) e, dopo la caduta dell’Unione Sovietica esposti alle minacce del dilagante capitalismo neoliberale. Soprattutto le concessioni per lo sfruttamento del suolo e delle risorse naturali da parte del governo centrale privano progressivamente queste etnie delle loro basi di sopravvivenza.
L’Homo di Denisova, quel lontano parente dell’uomo scoperto sui monti della Siberia (Russia beyond)
La Fanciulla di ghiaccio della Siberia: il mistero della mummia della sciamana rinvenuta intatta (Russia beyond)
Com’erano gli uomini e le donne delle diverse nazionalità che abitavano l’Impero Russo (Russia beyond)
Le popolazioni indigene raccontate in un progetto fotografico che sta facendo il giro del mondo (Russia beyond)
Guarda i contributi di SURVIVAL International sui popoli indigeni della Siberia
Viaggio in Buriazia, fra spiritualità e incroci di culture (Russia beyond)
Birobidzhan, Oblast autonoma ebraica (Russia beyond)
Harbin (Russia beyond)

ALASKA L'EX-COLONIA

Cimitero russo-ortodosso in Alaska

Alaska fu il primo territorio del continente americano ad essere abitato. Provenienti dalla Siberia  giunsero i primi nomadi la zona presumibilmente già prima di 36.000 anni  fa attraverso il territorio della Beringia che allora costituì ancora un ponte terrestre tra Asia ed America. Questi contatti, anche genetici, si protrassero fino a 18.000 anni fa, prima che la popolazione americana si separasse definitivamente da quella asiatica. A questi primi colonizzatori risalirebbero quindi tutte le popolazioni amerinde. I stretti legami antropologici che ebbero i primi americani con il territorio siberiano sembrano essere anche confermate dalle familiarità linguistiche esistenti di qua e di là dalla Stretto di Bering espresse dall’ipotesi della famiglia delle lingue dene-ienisseiane.Soltanto con la fine dell’era glaciale si innalzava il livello del mare tanto da sommergere il ponte terrestre e dividere i due continenti attraverso la Strada di Bering. 
Il primo europeo a toccare forse il suolo dell’Alaska fu l’esploratore siberiano Semën Ivanovič Dežnëv nel 1648. La sua impresa cadde nel dimenticatoio fin quando un secolo dopo il danese Vitus Bering, su incarico di Pietro il Grande, raggiunse il lembo più settentrionale del continente americano (1741) nel corso della seconda spedizione della Kamčatka. A partire dal 1745 iniziarono le prime esplorazioni dell ‘”America russa” alla ricerca delle preziose pellicce di lontra. Quello delle pellicce dovette restare la principale fonte di entrate economiche della colonia russa fino alla metà del 19º secolo. L’avidità commerciale e lo sfruttamento economico senza scrupoli delle popolazioni indigene determinarono dei rapporti molto conflittuali tra russi e indiani d’America. Questi ultimi si videro inoltre decimati a partire dal 18º secolo da ripetute ondate epidemiche di vaiolo. Gli unici difensori degli indigeni erano i popi inviati dalla Chiesa ortodossa.
Con l’intensiva caccia il numero delle lontre diminuiva sempre di più, un fatto che rese ancor meno redditizio il sostentamento della colonia da parte della corona zarista. Il viaggio da San Pietroburgo fino all’Alaska durava mediamente 6 mesi e rendeva oltremodo difficile la sua amministrazione. Pertanto, svuotate le casse imperiali dalle esigenze belliche della Guerra di Crimea (1853-1856) , Alessandro II decise nel 1867 di vendere l’inutile appendice russa su suolo americano al governo degli Stati Uniti d’America al ridicolo prezzo di 7 milioni di dollari (equivalente a 8,5 miliardi di dollari odierni). La decisione americana di accettare l’offerta russa fu anche dovuta a dei calcoli di tipo strategico. La Russia era stato, durante la Guerra di Secessione americana,  un partner economico e militare importantissimo degli Stati del Nord, mentre il Regno Unito si era dimostrato pressoché sempre ostile agli interessi del governo Lincoln. La corona britannica restava per di più agli occhi dello zar, malgrado avesse offerto di più, ancora un fresco nemico, mentre il Canada inglese rappresentava per gli USA un temibile concorrente in Nordamerica.
Così la Russia (per un pugno di mosche) cedette l’Alaska agli Usa (Russia beyond)
Il ponte sullo stretto di Bering: perché quel progetto rivoluzionario non vide mai la luce? (Russia beyond)
Dalla Russia si può davvero vedere l'Alaska? (Russia beyond)

COLONIA PENALE ZARISTA E GULAG

Aleksander Sochaczewski, Addio all’Europa

Già a partire dal 17º secolo la Siberia era divenuta il territorio di elezione per la deportazione, il confino e la detenzione con lavoro forzato di criminali, dissidenti ed oppositori politici. La così detta Katorga era la pena più dura subito dopo quella capitale e significava la morte civile del condannato. Quest’ultimo era bandito a vita dalla Russia occidentale, vale a dire dovette restare dopo il trascorso della pena detentiva nel luogo di confino.
La posizione geografica isolata, la morfologia e vastità di un terreno pochissimo abitato resero subito la Siberia quale simbolo di dannazione. Soprattutto a partire della metà del 18º secolo il numero di deportati era in costante aumento. Servi della gleba potevano essere confinati in Siberia dai propri “proprietari” aristocratici e comuni criminali condannati ai lavori forzati per l’estrazione dei numerosi giacimenti metalliferi. Il legislatore zarista si prefiggeva con la Katorga, accanto allo sfruttamento della manodopera, anche la progressiva antropizzazione e russificazione del suolo siberiano. Infatti il territorio transuralico diventava dal 1700 in poi anche destinazione finale di dissidenti, oppositori ed attivisti politici non graditi. Caterina la Grande utilizzava  il confino in Siberia come forma punitiva per  i suoi ex favoriti Aleksandr Danilovič Menšikov e Burkhard Christoph von Münnich. Con la Rivoluzione decabrista del 1825 e le varie insurrezioni polacche tra il 1830 e 1860 s’ingrossarono le colonne di deportati. Questi venivano prima radunati in specifici carceri e marchiati per essere per sempre riconoscibili. Dopo di che partivano  incatenati  in estenuanti marce forzate di migliaia di chilometri, accompagnati dai familiari, per raggiungere dopo mesi e addirittura anni il luogo detentivo. Si calcola forfettariamente che tra il 1805 ed il 1917 vi fossero almeno 1,5 milioni di persone condannate alla Katorga.

Deportati russi in un lager zarista dell’isola di Sachalin

Con lo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre nel 1917 e la presa di potere dei bolscevichi si assistette inizialmente alla liberazione dei detenuti politici, in massima parte socialisti e comunisti. Nel corso della seguente Guerra civile russa si pose per Lenin il problema dove detenere i nemici di classe da “rieducare”. A tal fine veniva allestito un primo lager sulle Isole Soloveckie dove si trovò un monastero allora requisito dal potere centrale. I campi di detenzione e di lavoro forzato dell’isola  furono gli antesignani del sistema di lager conosciuto a partire dal 1930 con il nome GUlag, acronimo che tradotto significa “Direzione principale dei campi di lavoro correttivi”. Gestiti dal NKVD e poi dall’ OGPU (organizzazioni predecessori del KGB). Sempre a partire dal 1929 vennero eliminate le distinzioni giuridiche tra criminali e detenuti politici con il controllo dei primi sui secondi.
La collettivizzazione forzata delle terre tra il 1929 ed il 1933 provocava una tra le carestie più spaventose nella storia russa (Holodomor)e si scontro con la resistenza, specie nella fertile Ucraina, degli stessi contadini medi-piccoli proprietari terrieri. Partiva così la prima ondata staliniana di repressione con milioni di kulaki che, se non erano morti di fame (si stima il numero di morti di questa carestia  intorno ai 3-3,5 milioni), venivano insediati forzatamente nelle lande più remote della Siberia. La mortalità tra i deportati privi di qualsiasi mezzo di sostentamento fu tanto spaventosa – si vedano la Tragedia di Nasino – che Stalin ed il suo entourage sospendevano il programma di “colonizzazione” per poi riattivarlo durante la Seconda Guerra mondiale allo scopo di ospitarvi quelle nazioni che Stalin aveva fatto “evacuare” preventivamente verso la Siberia di fronte all’avanzata tedesca.
Accanto alla "dekulakizzazione" l’Unione Sovietica degli anni 30’ forzava massicciamente il programma di industrializzazione. A tale scopo venivano lanciati una serie di progetti mastodontici che assorbivano la manodopera di milioni di deportati: il Canale del Mar Bianco, il Canale Moscova Volga, la costruzione della ferrovia Bajkal-Amur. Infine nacquero i vari distretti minerari come a Vorkuta, Norilsk e soprattutto Kolyma. Tutti i progetti prevedevano l’istituzione sul luogo di altrettanti complessi di lager di lavoro con migliaia di migliaia di deportati: per esempio VorkutlagNorillag (ing.).

Deportati in un Gulag della Kolyma

Gli anni del Grande Terrore tra 1937 e 1939 con le purghe staliniane e le decimazioni dei ranghi del partito e della dirigenza del paese videro il netto raddoppio della popolazione del Gulag da 700.000 a 1.400.000. Numerose furono le liquidazioni sia tra i funzionari che tra i deportati comuni. La persecuzione nelle file del Partito Comunista non si fermava neppure di fronte ai comunisti esiliati nell’Unione Sovietica provenienti dai paesi a regime fascista come Italia,  Germania, Austria, Ungheria ed altri. A migliaia finirono nei lager del OGPU. Tra gli anni 1939 e 1941, a seguito della spartizione della Polonia prevista dal Patto Molotov-Ribbentrop, molti nazionalisti polacchi, lituani, estoni e lettoni venivano condannati ai lavori forzati in Siberia.
L’invasione tedesca dell’Unione Sovietica  nel 1941 mise nuovamente in movimento l’arcipelago concentrazionario siberiano. Se a seguito delle enormi perdite dell’Armata Rossa ben un milione di deportati si trovarono “reinseriti” nelle file dell’esercito, milioni e milioni di appartenenti a popolazioni considerate inaffidabili da Stalin (Tatari della Crimea, Calmucchi, Ceceni, Ingusci) subirono i “rimpatri” coatti verso la Siberia.
A guerra finita e vinta si assistette ad un’ulteriore ondata di nuovi arrivi nei Gulag. Si trattava in primis di prigionieri di guerra e, in particolare di criminali di guerra nazisti. Ad essi si aggiungevano esponenti nazionalisti e dissidenti dei paesi conquistati, Polonia, Repubblica cecoslovacca, Ungheria, nonché i migliaia di prigionieri di guerra sovietici, lavoratori forzati nelle industrie naziste considerati da Stalin come disertori o collaboratori del Terzo Reich. Dopo la vittoria venivano riesumati i vecchi megaprogetti e inventati di nuovi come monumenti alla memoria del senescente Stalin. Come prassi per i lavori più duri veniva impegnata la popolazione carceraria del Gulag. All’interno dei campi si assistette comunque a dei cambiamenti: la decennale egemonia nel controllo dei detenuti da parte di soggetti criminali comuni venne scalfita dall’arrivo di ex soldati, solidali, temprati dalla guerra e difficilmente disciplinabili. Gli incidenti insorti nei primi anni 50’ nei vari complessi detentivi fecero presagire le grandi rivolte degli abitanti dei Gulag dopo la morte di Stalin.
Stalin moriva nel 1953. Con la politica di destalinizzazione attuata da Nikita Sergeevič Chruščëv il sistema Gulag conobbe una risistemazione ed un suo reindirizzo verso una gestione meno brutale e disumana. A parte l’amnistia per i detenuti politici e la loro parziale riabilitazione nel periodo di disgelo, l’arcipelago concentrazionario continuava comunque ad essere funzionante e si rinvigoriva, benché con meno rigore che durante il periodo del dittatore georgiano, nel periodo neostaliniano dell’era di Leonid Il'ič Brežnev.  Dissidenti ed oppositori politici continuarono ad essere rinchiusi anche allora nei campi, spesso anche in istituti psichiatrici, ma generalmente non più in condizioni così selvagge come prima. Molte strutture di detenzione e lavoro forzato soprattutto in Siberia chiusero nel corso degli anni 60’ come i distretti minerari della Kolyma e di Workuta. Altre istituzioni sopravvissero fino al definitivo smantellamento dei Gulag con il governo di Michail Sergeevič Gorbačëv.

Colonia penale dello zar:
Katorga (Wikipedia)
Yankovskij, il polacco ribelle nemico dello zar che rese grande l’Estremo oriente (Russia beyond)
Il politico liberale e rivoluzionario Aleksandr Herzen trascorse 4 anni di confino a Perm nella Siberia occidentale. Il secondo capitolo "Prigione ed esilio" delle sue memorie "Il passato e i pensieri" riporta le sue esperienze di deportazione nel territorio transuralico: Memoiren eines Russen / Aleksandr Herzen (ted.)

GUlag:
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TRANSIBERIANA
La Ferrovia Transiberiana è la principale asse viaria della Russia asiatica e, con i suoi 9822 km la linea ferroviaria più lunga del mondo. Per il viaggio da Mosca fino a Vladivostok il treno passa  per ben 400 stazioni ed impiega 144 ore, vale a dire 6 giorni.
Nelle seconda metà del 19º secolo divenne sempre più evidente che lo sfruttamento delle risorse economiche siberiane non poteva essere più affidato solamente ad un trasporto equestre o fluviale. Pertanto si cominciava a pensare alla costruzione di una linea ferroviaria ininterrotta tra la capitale dell’Impero zarista e la sua propaggine più orientale, Vladivostok. Ci si aspettava una maggiore apertura al mercato cinese di quello russo in specifico ed europeo in generale bruciando sul tempo la via marittima monopolizzata dal Regno Unito. Per di più ci si prefiggeva un forte impulso per l’economia siberiana stessa ed una conseguente attrazione di manodopera dall’occidente.
I lavori vennero inaugurati nell’anno 1891 dall’allora  Zarevic Nicola nei pressi di Vladivostok. Il completamento dell’intera tratta veniva celebrata con l’inaugurazione del ponte sull’Amur presso Chabarovsk nel 1916. Le difficoltà incontrate furono enormi: la linea dovette attraversare 16 grandi fiumi, che nei casi di inondazioni portarono con sé in pochi attimi centinaia di km di binari. Il stagionale disgelo trasformava il tracciato spesso in un pantano rendendo il transito impossibile: un ingegnere sconsolato raccontava  che “dopo forti pioggie primaverili le locomotive saltavano come scoiattoli dai binari”. Si calcola che queste difficoltà ed il gigantismo dell’impresa richiedevano la presenza contemporanea di almeno 90.000 lavoratori, in gran parte cinesi, coreani, giapponesi nonché deportati della Katorga. Ogni quarto scalpellino, impiegato nella costruzione dei ponti, proveniva dall’Italia. Questa partecipazione ha trovato  una sua rievocazione narrativa nel romanzo di Carlo Sgorlon, La conchiglia di Anataj.
La sconfitta russa nella Guerra contro il Giappone (1804-1805) evidenziava da subito l’insufficienza della linea a binario unico. Già a partire dal 1908 si cominciava ad allargarla quindi in determinati segmenti a due binari. Quest’opera durava vari decenni e si concluse soltanto dopo la 2ª Guerra mondiale. Le stesse difficoltà incontrava il progetto dell’elettrificazione; iniziato nel 1929 terminava nel 2002.
Gli effetti positivi della Transiberiana si fecero subito sentire. Gli investimenti stranieri decollarono specie nell’ambito dell’estrazione mineraria, del commercio di legname, ma anche quello dei prodotti alimentari. Inoltre vennero aperti finalmente consolati e rappresentanze diplomatiche a Vladivostok. Un'altra conseguenza dell’apertura della linea ferroviaria nell’Estremo Oriente fu la massiccia immigrazione russofona. All’inizio dei lavori (1891) la popolazione complessiva della Siberia ammontava a 5 milioni. Tra il 1903 ed il 1914 immigrarono 4 milioni contadini russi che si insediarono lungo la linea ferroviaria.
Malgrado la assenza di tratti a velocità ridotta (inizialmente i treni passavano nel percorso lungo il Lago Bajkal spesso con soli 20 km/h) la velocità media sulla linea si aggira intorno a 60/70 km/h. Data l’importanza strategica della ferrovia (anche la strada a lunga percorrenza dell’Amur M 58 non è riuscita a scalfire del tutto il ruolo della Transiberiana) si è pensato alla costruzione di una nuova linea veloce lunga 7000 km. Già ora circolano comunque giornalmente sia treni passeggeri che treni merce. Uno di questi è l’Espresso transeuroasiatico della BMW che percorre il tratto transcontinentale tra lo stabilimento di Lipsia e quello cinese di Shenyang.

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