“Per un’ironia della Storia, il mondo che viene descritto in questo libro ha risvegliato l’interesse degli occidentali soltanto a partire dalla sua distruzione.”
(Martin Pollack, Galizia. Viaggio nel cuore scomparso della Mitteleuropa)
Lo scrittore austriaco Martin Pollack inizia con questa scarna e dolorosa constatazione il suo Galizia, viaggio nel cuore scomparso della Mitteleuropa. Il libro parla infatti di una regione che è stata cancellata dalle carte geografiche del dopo 1918 e che nel parlato comune viene non troppo infrequentemente confusa con la sua sorella omonima dell’estremo Occidente d’Europa, la Galizia iberica. Come la finis terrae d’Atlantico era anche la Galizia d’Oriente una sorta di confine verso le infinite lande della steppa russa - un suo figlio eletto, Karl Emil Franzos la definì in modo caustico Halb-Asien, vale a dire Mezza Asia. Ma a differenza della netta linea d’acqua dell’oceano, qui ad est dei Carpazi si dispiegò un ampio corridoio terrestre dove si mescolarono e si incontrarono in un cuore le arterie pulsanti dei due continenti Europa ed Asia.
“Nel 1772, con la prima spartizione della Polonia, il regno di Galizia e Lodomiria, come veniva denominata ufficialmente la più grande tra le terre della Corona d’Asburgo, era passata all’Austria. Fino alla Prima guerra mondiale e la conseguente caduta dell’impero multinazionale, a Vienna si aveva un’immagine molto sfocata dell’aspetto della Galizia e della Bucovina. … Era un mondo sconosciuto e lontano, si sapeva che vi regnavano sporcizia e povertà, alcolismo e analfabetismo, proprietari terrieri crudeli che trattavano i loro contadini come servi della gleba e picchiavano gli ebrei, e ottusi burocrati che oziavano e si riempivano le tasche. E con stupore preoccupato si scoprivano i molti popoli e gruppi etnici, religioni e culture che si trovavano là, all’estrema periferia dell’impero: ruteni, come ai tempi venivano chiamati gli ucraini, polacchi, ebrei, romeni, zingari, ma anche popoli minuscoli e sconosciuti come gli huzuli, i boyko e i lipovani. Quando un ufficiale o un funzionario veniva mandato in Galizia per portare l’ordine imperiale in quelle terre inospitali, si sentiva come se l’avessero esiliato. …” (Galizia. Viaggio nel cuore scomparso della Mitteleuropa).
Nel Ventesimo secolo nessun’altra parte d’Europa è stata tormentata dalla Storia più della Galizia. “Questa terra così segnata dalla morte” – come la definisce Pollack – è salita alla ribalta delle cronache europee con la Prima guerra mondiale (Battaglia di Galizia), quando il rullo compressore delle divisioni zariste travolse la regione ingaggiando battaglie sanguinosissime con l’esercito asburgico e causando l’emigrazione di centinaia di migliaia di galiziani (soprattutto ebrei) in fuga dalle devastazioni e dai pogrom. Con la fine della guerra la regione venne assegnata alla rediviva Polonia e prese il nome di Malopolska, Piccola Polonia – la più meridionale Bucovina invece venne annessa alla Romania. Le mire espansionistiche polacche per la creazione di una Grande Polonia a scapito dell'Ucraina provocarono 2 guerre nella terra appena martoriata dal conflitto mondiale, quella polacco-ucraina nel 1919 e quella polacco-sovietica dal 1919 al 1921. Ambedue causarono ulteriori devastazioni, fughe e deportazioni specie nella parte orientale del territorio galiziano. Ora toccava alla popolazione polacca, ora a quella ucraina lasciare le loro terre natie.
La definitiva distruzione di questa regione, arca di popoli e lingue, arrivò solo durante la Seconda guerra mondiale, con la nuova spartizione della Polonia tra Terzo Reich e Unione Sovietica prima, con soprattutto il genocidio nazista degli ebrei poi, ed infine con le pulizie etniche perpetrate da Stalin e dai suoi luogotenenti in Polonia ed Ucraina. Alla fine della Seconda guerra mondiale 2 milioni di polacchi ed 500.000 ucraini vennero privati per sempre della loro patria grazia ad un'iniziativa congiunta di "rimpatrio", come vennero chiamati con non poco cinismo i Trasferimenti di popolazione polacca nel 1944-46 nonché l'Operazione Vistola.