Che le montagne siano e fossero per l’uomo moderno elementi morfologici che segnino o segnassero confini di per sé stabili, non modificabili proprio in virtù del loro essere “naturali”, questa convinzione è stata rivista e corretta a ragione soltanto nel periodo postnazionalista del XX secolo. E giustamente, in quanto la storia delle Alpi, ma anche quella di altri gruppi di montagne, dimostra proprio il contrario, cioè spesso la capacità di costituire un’area transfrontaliera più o meno estesa, travalicante i due versanti del massiccio montuoso presuntivamente divisorio. Soprattutto il nostro medioevo ha dato vita, a partire dal IX-X secolo a delle conformazioni territoriali che sono sopravvissute fino al XVIII, a volte addirittura, all’interno dei grandi imperi, fino al XIX secolo. Sulla scia delle invasioni barbariche si sono istituite territori culturalmente continuativi come la Contea principesca del Tirolo di qua e di là dal Brennero e dal Resia. Lo stesso principato arcivescovile di Salisburgo aveva esteso le sue propaggini ben al di là del versante meridionale delle Alpi, in Carinzia e nell’attuale Tirolo dell’Est. Anche in Svizzera le Grigioni, cantone romancio, comprendeva anche le vallate a sud delle Alpi Centrali, tra esse per un certo periodo la Valtellina. Sito sempre ancora sull’arco alpino il Ducato di Savoia si era sviluppato sui due versanti orientale ed occidentale della Alpi. Anche sui Pirenei erano nate già nell’Alto Medioevo realtà politiche e culturali transmontane come la Marca, poi Contea di Barcellona e quella del regno di Navarra.
Soltanto nel XVIII secolo (con il Trattato di Utrecht, 1713) cominciò a prendere piede nelle menti illuminate dei ministri, politici e geografi la convinzione che le catene montuose con i loro spartiacque costituissero una linea di confine razionale e soprattutto naturale. A seguito si assistette alla rettificazione della frontiere tra il regno di Navarra ed il Tolosano, tra la Catalogna ed il Rossiglione (pur d’etnia catalana), ed infine tra Paesi Baschi spagnoli e francesi. Le altre realtà politiche transalpine sopravvissero fino al XIX secolo ed oltre.
Ma di là dai disegni dinastici e strategici delle teste coronate e dei loro consiglieri, la vita quotidiana delle popolazioni alpine sta a dimostrare che le montagne non sono e non erano affatto delle barriere divisorie. Cominciamo con la scelta di stabilirsi ad un certo punto della storia sul versante opposto della cresta montuosa. Una scelta perpetrata per vari motivi più volte nella storia: i Walser ed i Valdesi delle montagne piemontesi, gli uni per sfuggire alla pressione demografica, gli altri alla persecuzione religiosa del re di Francia.
Valicare i passi e le selle può corrispondere ad una prassi abituale nell’ambito delle transumanze. Così si vedono ogni anno – malgrado il tracciamento del confine austro-italiano avvenuto nel 1918 – il passaggio delle greggi e mandrie dei contadini di Val Senales e Val Aurina in territorio austriaco dove detengono tutt’ora i diritti di pascolo. Anche gli uomini si muovevano su quei sentieri e quelle mulattiere. Pensiamo soltanto ai lavoratori, artigiani e venditori stagionali che lasciarono i loro paesi in Lombardia, Trentino, Veneto e Carnia per cercare il sostentamento proprio e dei loro cari nelle città della Svizzera, Germania ed Austria. Per finire infine con quelle popolazioni che hanno fatto del loro migrare di qua e di là della catena alpina e oltre la loro vocazione: i Jenische, terzo gruppo nomade in Europa accanto a Rom e Sinti, ma di etnia germanica, percorrevano le valli esercitando vari mestieri, cestai, aggiustatori di tegami ed ombrelli, arrotini, musicisti ecc..
La vocazione di territorio d’incontro, di transito e di fucina per esperienze socio-culturali varie propria delle Alpi finisce con la fine dell’era protomoderna, allorquando i vari stati nazionali s’imposero e si cristallizzavano nei loro confini, riducendo i paesi alti a delle periferie. Ben inteso, questa percezione di marginalità era ed è propria di un modo di vedere delle pianure con le loro città. Gli abitanti dei monti stessi concepivano il loro territorio sempre come spazio centrale rispetto alle realtà di pianura, aperte, nei limiti socio-culturali della comunità di villaggio, anche verso chi abitava dall'altra parte della catena alpina.
A cambiare questa situazione dal punto politico ci pensava alla fin fine la 1ª Guerra mondiale. Pratiche quali le migrazioni stagionali, in alcuni casi il piccolo commercio ora transfrontaliero e gli scambi tra gruppi etnici ormai divisi incontravano ostacoli a volte insormontabili: filo spinato, casematte e postazioni di controllo sugli alti valichi impedivano la libertà di passaggio goduta per secoli. Per di più lo spirito nazionalista, già presente nei vari irredentismi prima della guerra, cominciava ad imperversare anche nel mondo dell'alpinismo. Le montagne divennero oggetto di un malsano sentire patriotico che le rivendicava come baluardo contro l'una o l'altra nazione. Gli stessi Club alpini si fecero portavoce di questo distorto senso di appartenenza.
A risanare questa situazione intervennero, dopo la 2ª Guerra mondiale le rinnovate e mutate coscienze democratiche dei governi europei prima attraverso i vari trattati bilaterali ed infine attraverso lo spazio unificato di libertà garantito dall’Unione Europea. La costituzione all’interno dello spazio europeo di regioni transnazionali che si prefiggono una gestione ed amministrazione congiunta delle proprie aree di competenza ha visto nei territori dell’arco alpino dei pionieri e precursori su tutte le altre realtà geografiche. Le Euroregioni sono quindi la prova vivente, vincitrice su tutti i vari nazionalismo che si contendevano il possesso di territori montuosi, che le Alpi e le montagne in generale figuravano e, speriamo, continuano a fungere come ponti, difficilmente percorribili, ma pur sempre di unione tra le popolazioni.