La
tematica del film è stata ripetutamente riprodotta nella storia del
cinema, ne sono consapevole. A mio parere questo film ha una
caratteristica che molti film non hanno: il ritmo non è mai lento.
Lo spettatore viene trasportato nella storia di questi ragazzi, che
non risulta mai banale o scontata o piena di stereotipi. Le
vicende e i personaggi sono tratti
da una storia vera e il libro che alla fine viene pubblicato si
intitola “The Freedom Writers
Diary: How a Teacher and 150 Teens Used Writing to Change Themselves
and the World Around Them” . Il
nome Freedom Writers rende omaggio al nome di
coloro che combatterono per
i diritti civili degli anni '60: Freedom Riders.
Quando
lo vidi anni fa, pensai
fosse
l'ennesimo film di ragazzi con situazioni particolari che venivano
“salvati” da una
persona buona di
cuore.
Mi sono completamente ricreduta, il film non mi ha mai annoiata
e il personaggio della Gruwell mi
è rimasto nel cuore.
Hilary Swank dà al suo personaggio quel
senso
di dolcezza e maternità senza risultare mai irreale, costruita o
anche mielosa ma
la sua fragilità è credibile fino a trasmettere empatia,
perché nessuno è un supereroe. Il regista, a mio parere, riesce a
far emergere il concetto che l'emarginazione sociale sia il frutto
della malvagità e dell’egoismo dell’essere umano e
che dipende totalmente da noi e dai nostri pregiudizi e pensieri.
Altra cosa che mi ha particolarmente colpito: la scuola non è vista
come un'istituzione che dovrebbe salvare il soggetto debole, al
contrario probabilmente all'inizio del film lo getta ancor di più
nell'oscurità, come se lo ritenesse senza speranza. È
struggente immaginare come possa sentirsi un ragazzo in difficoltà
in un contesto del genere!
Ecco che attraverso la figura della Gruwell la
scuola diviene rifugio e salvezza per chi, come nel caso di alcuni
studenti del film, non possiede nemmeno una casa.