Busto marmoreo di scuola alessandrina raffigurante la regina Cleopatra (Altes Museum Berlino)
A complemento dell’immagine della femme fatale disegnata di generazione in generazione dagli uomini – e della quale si è tentato un breve riassunto nell'articolo de
La donna fatale, viaggio secolare nell'immaginario maschile – è forse utile gettare uno sguardo dietro la maschera della donna senza pietà, togliere il trucco alle varie Cleopatre, Salomé, Agrippine e Messaline.
Il complesso di Cleopatra prende il nome dall'affascinante regina egiziana, donna viziatissima dal padre, avida e capricciosa, dalle innumerevoli avventure amorose e con la passione per il potere.
Proprio per la sua fama Dante la condannò all'inferno mentre Shakespeare la chiamò serpente del Nilo.
In realtà non particolarmente bella come vuole il suo mito, le si riconoscono doti di abile seduttrice.
Il Complesso di Cleopatra è un disturbo narcisistico che colpisce le donne, versione femminile dell'altrettanto noto Complesso di Achille. La donna che ne è affetta appare come forte e sicura di sé, dotata di charme e carisma, volubile, stravagante e teatrale nei modi. Vanitosa, competitiva e dominatrice, si rivela capace di far perdere completamente la testa a chiunque. Utilizza l'eros e il proprio corpo per avere considerazione ed ottenere adulazione al fine di gratificare il suo sé grandioso ed egocentrico.
Si tratta, tuttavia, di un atteggiamento altamente seduttivo e manipolatorio fortemente difensivo che nasconde in realtà profonda fragilità ed insicurezza interiore. Dietro la facciata esteriore di femme fatale, ammaliatrice irresistibile senza scrupoli e conquistatrice a tutti i costi e con tutti i mezzi (intrighi, ricatti, bugie, ecc..), si cela, spesso, una donna debole ed infelice, non di rado in fuga dalle relazioni sentimentali.
L'atteggiamento di ostentazione spavalda e sfacciata di sensualità rappresenta una corazza esterna dietro alla quale si scherma.
La donna con Complesso di Cleopatra, in altre parole, mostra a tutti una falsa identità, effimera, inconsistente e solo all'apparenza vincente. Di fatto è una donna che, nel corso della sua esistenza, si è vista, il più delle volte, costretta a compiacere le richieste dell'ambiente esterno e che ha vissuto esperienze di carenze affettive importanti che hanno prodotto enormi 'buchi' emotivi, difficili da rimediare e colmare.
Ha imparato con il tempo ad utilizzare il fascino e la bellezza per attirare ed utilizzare gli altri a proprio scopo e piacimento. Le sue relazioni interpersonali sono superficiali e strumentali al raggiungimento dei suoi obiettivi e al soddisfacimento dei suoi bisogni.
L'involucro illusorio e finto di cui si riveste, a compensazione e difesa di un interiorità estremamente fragile e vuota, rischia di andare a pezzi senza l'approvazione e l'ammirazione dell'altro, da cui dipende disperatamente per la sua sopravvivenza psicologica.
Otto Dix, La ballerina Anita Berber
Un esempio di come lo stereotipo romantico decadente della donna demone possa, vissuta al suo estremo, precipitare chi lo impersona o recita in un abisso esiziale, è la ballerina, attrice e scrittrice
Anita Berber. Idolo della Berlino frivola degli anni ’20 la Berber era considerata abietta, una Vamp e Femme Fatale, il simbolo dell’eccesso puro e allo stesso modo personificazione della nuova donna volitiva, del bohémien al femminile. La sua condotta di vita era reiteratamente causa di pubbliche proteste. La ballerina attraeva gli scandali come una calamita: dichiaratamente bisessuale, consumava morfina e cocaina, si scollava una bottiglia di cognac al giorno e per di più era estremamente rissosa con chiunque la contestava. La sua sfrenatezza e disinibizione personificò la selvaggia pulsione esistenziale della sua generazione, incapace di pensare ad un futuro già perduto. Fu così che Anita divenne l’idolo dell’inflazione, la sua Dea della Morte. Nel 1925 posava nuda per
Otto Dix, che la dipinse invecchiata di anni che l'attrice non avrebbe mai vissuti: emaciata, con il viso smunto, pieno di rughe, la bocca rossa sangue, il colorito pallido e occhiaie nere come la morte. La vamp berlinese non vendeva il suo corpo soltanto come modella, lo prestò anche fisicamente al primo offerente: Martha Dix: “
Qualcuno le si volgeva la parola, e lei rispose subito 200 marchi. Non lo trovavo così terribile. In qualche modo doveva pure guadagnarsi il pane.” I suoi balli esibiti senza veli - le locande parlarono di
Die Tänze des Lasters, des Grauens und der Ekstase (Balli del vizio, dell'orrore e dell'estasi) - scatenarono quasi sempre tumulti in mezzo alla platea.”
Sotto: Anita Berber in "Cocaine" (Madame d'Ora, i.e. Dora Kallmus, 1922)
Klaus Mann recensiva una sua esibizione con le seguenti parole: “
Altri ballano la fame e l’isteria, la paura e l’avidità, il panico e l’orrore…Anita Berber – il suo viso congelato in una maschera sgargiante sotto gli spaventosi ricci della sua parrucca scarlatta – balla il coitus.”, mentre il corrispondente anglo-tedesco
Paul Marcus (PEM) cantando ormai il crepuscolo alla donna fatale, le toglieva la maschera di terrore:
„
… la Berber è l’incarnazione della parodia. Fino al midollo donna demoniaca è ormai fuori moda. La bocca viziosa, gli occhi cattivi, depravata fin nelle punte dei cappelli. Così avanza strisciando. Circondata da un’irreale aura maschile, si ritira subitaneamente, seduce e appare come un brutto, opprimente incubo. Nulla è veritiero. Tutto montatura. La mano sottile, il corpo di serpente sussurrano: Guardate, quanto sono brava. Così era forse la donna dell’altro ieri. Raffinata, artificiale e ingenuamente seducente. …”.
Dopo una carriera tanto folgorante quanto scandalosa Anita Berber - a ricordo della compagna di sventura Lulu di Wedekind - muore all’età di 29 anni di tubercolosi e ... di femme fatale.
Fonte:
Le armi della seduzione. Il complesso di Cleopatra, url: https://dottcinziacefalo.blogspot.com/2019/01/le-armi-della-seduzione-il-complesso-di.html (consultato il 15/03/2021)
Ricarda D. Herbrand, Göttin und Idol. Anita Berber und Marlene Dietrich. Aufbruch in die Moderne – Drogen in den Zwanzigern (Skript) (Memento vom 16. Oktober 2003 im Internet Archive)