Il 26 aprile del 1986 mentre i tecnici della centrale nucleare di Chernobyl eseguivano un test di sicurezza sul reattore RBMK-1000 numero 4,un improvviso problema si manifesta agli impianti: è l’inizio di una tragedia umana e di un disastro ecologico senza precedenti. Nella notte a pochi minuti di distanza si verificano due esplosioni liberando nel territorio circostante circa 50 tonnellate di materiale nucleare, dieci volte il peso della bomba sganciata su Hiroshima.
Sotto: Memoriale agli uomini che salvarono il mondo, Chernobyl - particolare

Molti ingegneri, fisici, tecnici, pompieri, guardie di polizia, morirono quella notte, o poche settimane dopo, nel tentativo disperato di ridurre i rischi di ulteriori fatali esplosioni, e di contenere il rilascio di materiale radioattivo.
Non furono gli unici eroi di questa incalcolabile catastrofe, altri uomini cercarono di capire quale fosse stata la causa di una simile tragedia, persone che dovettero combattere non solo con le radiazioni, ma con la disinformazione e l’omertà della politica dell’allora Unione Sovietica.
Valerij Alekseevič Legasov fu uno di quegli uomini coraggiosi: capo del Dipartimento di Radiochimica e tecnologie della Facoltà di chimica dell'Università statale di Mosca, vice direttore dell'Istituto Kurčatov di Energia Atomica, e capo della delegazione scientifica inviata dal Governo sovietico a Chernobyl, fu uno dei primi esperti a recarsi sul posto per osservare di persona gli effetti della catastrofe, e per controllare le condizioni della centrale nucleare, pur sapendo che si stava esponendo a dosi elevate di radiazioni.
Da sempre interessato a rendere più sicuri gli impianti nucleari, dalle sue osservazioni emerge quanto aveva già riscontrato in precedenti studi sui problemi di sicurezza dei reattori RBMK-1000, il modello presente a Chernobyl, ritenendo essenziale dotarli di una struttura di contenimento.
Riteneva pertanto che lo scoppio della centrale non era solo dovuto ad un errore umano, come fu sempre sostenuto dal Governo russo, ma da un difetto di progettazione e fabbricazione dell’impianto stesso. Propose fin da subito lo sgombero della cittadina di Prypjat, la più vicina alla centrale, ma l’evacuazione avvenne solo dopo 36 ore dall’incidente, ed ebbe un ruolo centrale per le operazioni di contenimento dei danni provocati dallo scoppio degli impianti nucleari.
Suggerì di formare un gruppo di giornalisti esperti con il compito di raccontare i fatti accaduti e di spiegare alla popolazione come comportarsi in tale situazione di emergenza, ma il Governo non appoggiò questa proposta, e fu forse in questo momento che Legasov entra in conflitto con Mosca.
Nell’agosto del 1986 la sua relazione di 5 ore, presentata davanti all’
AIEA a Vienna fu accolta, dai 500 più grandi esperti, provenienti da 62 Paesi, con grande interesse e applaudita a lungo perché ci si accorse che Legasov aveva salvato non solo il suo Paese, ma l’intera umanità da un gravissimo incidente nucleare che avrebbe potuto avere effetti ben più disastrosi.
Tuttavia i Soviet non gradirono la sua verità, e nonostante la grande popolarità in Europa, fu volutamente dimenticato dal suo Paese che gli negò ogni onorificenza. Nel frattempo allo scienziato gli fu diagnosticato un tumore al pancreas di quarto stadio dovuto all’esposizione da radiazioni.
Il 27 aprile del 1988, a due anni dall’incidente di Chernobyl, Legasov viene trovato morto suicida nella sua casa, dopo aver registrato 5 cassette con le sue memorie.
La figlia racconta: “
Per qualche ragione, molti credono che mio padre sia rimasto deluso dal fatto di non essere stato premiato. Ma non è così, non era un uomo ambizioso...Era un patriota, ed era addolorato per quello che era successo, per il Paese, per le persone che avevano sofferto...provava empatia ed era roso dalla sofferenza…”
Legasov è uno dei personaggi chiave della tragedia di Chernobyl: non a caso è la voce narrante della serie Hbo -Sky che racconta il disastro della centrale nucleare, ed è stato scelto come filo conduttore anche nel film tv prodotta dalla Bbc Chenobyl Nuclear Disaster.
Sotto: Pripyat, la città fantasma

A più di 30 anni dallo scoppio della centrale, Chernobyl rimane una grave minaccia per l’umanità perché la massa radioattiva per ora coperta in superficie dal sarcofago e isolata nel sottosuolo da una spessa colata di cemento continua a premere in profondità minacciando la contaminazione delle falde acquifere.
Nel 2019 è stata realizzata una nuova struttura di contenimento della centrale: un arco d'acciaio alto quanto il Duomo di Milano. Finanziato dalla Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo e da 45 Paesi, è stato costruito da Novarka (consorio francese, con la partecipazione, tra gli altri, dell'italiana Cimolai che ha realizzato il "telaio", le strutture di acciaio ad alta resistenza.
Uno sforzo collettivo per provare a salvaguardare l'intero pianeta dalla dispersione di ingenti quantità di materiale radioattivo, considerato che il 95% del reattore distrutto si trova ancora a Chernobyl. Il futuro riparte anche da qui.