Nei tempi più antichi gli altari delle chiese spesso erano rivestiti con stoffe e paramenti, il termine pala deriva dal latino pallium che significa mantello, coperta, e indicava appunto la consuetudine a ricoprire l’altare con stoffe e più in là nel tempo con pannelli decorativi in legno dipinto o a mosaico/marmo.
La pala d’oro per Venezia è un’opera simbolo della stessa città ed è composta da una spessa tavola di legno di dimensioni m. 2.12 x m. 3.34, completamente rivestita da lamine d’argento dorato, dove si posizionano 255 placchette e medaglioni a smalto cloisonné, per la maggior parte realizzate nel XII secolo, e 1927 pietre preziose come perle (526), granati (330), smeraldi (320) zaffiri (255), ametiste, rubini, topazi, corniole, agate, diaspri.
La preziosità del materiale, così come gli smalti, lo sfondo dorato, e le gemme incastonate, conferiscono a quest’opera uno straordinario sfolgorio di luce, simbolo dell’elevazione verso Dio.
ORIGINI E EVOLUZIONE
L’origine della Pala d’oro è strettamente legata alla Basilica di San Marco dove tutt’ora l’opera è custodita.
La prima Pala marciana di cui abbiamo testimonianza risale al 976, anno in cui il Doge Pietro Orseolo (976-978), in occasione della ricostruzione della Basilica danneggiata da un incendio nel 976, commissionò l’opera a Costantinopoli. Questa prima versione è andata perduta, e molti studiosi sono concordi nel ritenere non plausibile che alcuni piccoli smalti dell’edizione originaria possano essere stati inseriti nella Pala attuale. Si suppone, invece, che essa dovesse essere costituita da un pannello d’argento dorato molto simile alle più tarde Pale di Torcello o di Caorle.
La seconda Pala di cui abbiamo testimonianza fu commissionata dal Doge Ordelaffo Falier (1102-1118) e fu terminata nell’anno 1105, come risulta dall’iscrizione riportata sulla parte inferiore che attesta “nova facta fuit” accanto al ritratto dello stesso Dux e dell’imperatrice bizantina Irene. Anche in questo caso la Pala fu fatta realizzare per onorare la nuova Basilica consacrata nel 1092.
Con il doge Pietro Ziani (1205-1229), come si legge sull’iscrizione che corre sulle placchette dorate del registro inferiore, la Pala renovata fuit con l’applicazione nella parte superiore di un pannello di smalti, proveniente dalla Chiesa del Pantocrator di Costantinopoli, oggi distrutta, raffigurante l’arcangelo Michele e sei festività della Chiesa d’Oriente giungendo a Venezia come bottino del sacco di Costantinopoli del 1204.
A opera del doge Andrea Dandolo nel 1345 la pala fu rinnovata acquisendo l’aspetto attuale: furono aggiunte nuove placchette di smalti cloisonné e sulle cornici furono montate, perle, gemme e pietre preziose. L’orefice esecutore incaricato d'impreziosire l’opera marciana, fu un certo Giovanni Paolo (?) di Bonesegna che lasciò la sua firma sul retro della tavola superiore e la data del restauro: il 1342.
Un ulteriore restauro avvenne nel 1836-47 e fu eseguito da Lorenzo e Pietro Favro quando la parte superiore della pala venne saldamente unita con la parte inferiore.
La pala d’oro non fu mai una semplice opera funzionale alla celebrazione del Santo Patrono, essa divenne col tempo uno dei simboli della potenza e della ricchezza della Serenissima, è in questo senso che va letto la continua attenzione ad adeguare la pala a ogni importante intervento effettuato sulla Basilica.
LE TRE EDIZIONI
La Pala d’oro che noi oggi possiamo ammirare conobbe quindi più edizioni.
Nel 1105 la pala commissionata a Costantinopoli si doveva presentare come una tavola rettangolare con al centro in basso la Vergine orante fiancheggiata dai sovrani bizantini su cui domina il Cristo Pantocrator (giudice) circondato dai quattro evangelisti e sovrastato dal trono della gloria (Etimasia). Accanto a questo gruppo centrale sia a destra che a sinistra si trovavano tre ordini sovrapposti di arcatelle sorretti da pilastrini reggenti degli architravi: quello inferiore dei Profeti, quello centrale degli Apostoli, e quello superiore degli Arcangeli. Alla base della pala erano collocate le storie di Gesù e le storie di San Marco fiancheggiate da sei diaconi: in questa posizione i fedeli potevano leggere le iscrizioni in latino che accompagnano le raffigurazioni.
I due cicli quello cristologico e quello marciano costituivano una sorta d'illustrazione del Vangelo di San Marco, strumento indispensabile per l’ingresso alla Gerusalemme Celeste attraverso l’intercessione della Vergine Orante, e degli imperatori terreni, qui rappresentati dal Basileo e dalla Basilissa di dinastia Comnena.
Circa un secolo più tardi nel 1209 arriva a Venezia il pannello degli splendidi smalti sottratti a Costantinopoli durante l’assedio del 1204: esso contiene la raffigurazione dell’arcangelo Michele e di sei delle dodici festività della Chiesa Ortodossa (Domenica delle Palme, Ingresso di Gesù al Gerusalemme, Discesa al limbo, Crocefissione, Ascensione, Pentecoste, Dormitio Virginis, Trapasso e Assunzione della Vergine).
In questa fase si decide di realizzare una seconda edizione della Pala: le storie di San Marco e il ciclo cristologico con i diaconi vengono spostati rispettivamente ai lati e nella parte superiore della pala originaria in modo da consentire un allargamento dello stesso impianto funzionale a ospitare il registro superiore con l’Arcangelo Michele. Lo spostamento delle placchette con le storie di Gesù e di San Marco consentiva di raggiungere una nuova unità compositiva, a discapito di una sequenza narrativa poco coerente. Si procedette anche a impreziosire la Pala con gemme e perle, facendo rientrare il rinnovamento della stessa opera in un programma più ampio di glorificazione del sepolcro marciano con la costruzione del ciborio di marmo cipollino verde fregiato d’oro, e sorretto da quattro colonne istoriate. Con tale intervento architettonico e con la Pala ingrandita e arricchita il sepolcro di San Marco diviene punto focale di tutta la Basilica.
Nel 1345 sarà il doge Andrea Dandolo a volere un nuovo apparato decorativo della Pala d’oro, perfettamente in linea con il gusto estetico del tempo, affidando a Giovanni Paolo Bonesegna e ad altri orafi questo straordinario rinnovamento con la costruzione di una nuova architettura per gli smalti cloisonnés, e la collocazione di molteplici pietre preziose.
Gli interventi non si limitarono ad abbellire la Pala, ma furono sostanziali: gli orafi trecenteschi costruirono una straordinaria architettura gotica, quasi a voler ambientare le scene e i personaggi sacri entro una cattedrale, realizzarono alcuni particolari in oro ad alto rilievo, come la mano di San Michele reggente un calice con perla, e adottarono soluzioni tecniche per l'applicazione delle gemme con sottili sostegni d’argento dorato che alla minima sollecitazione creano uno sfavillio di luce proiettando l’opera in una dimensione soprannaturale.
E’ straordinaria l’armonia raggiunta tra gli smalti cloisonnés di fattura bizantina e le forme architettoniche occidentali aggiunte con l’edizione trecentesca della Pala: è sempre la luce che domina fin da principio la composizione dell’opera, protagonista assoluta tra i lucenti smalti, il fondo oro, il riverbero delle pietre preziose.
La Pala d'oro si trova conservata nel Presbiterio della Basilica marciana, ed è possibile visitarla acquistando un biglietto; l'opera viene esposta al pubblico solamente tre volte all'anno in concomitanza con le più importanti feste religiose cristiane.