“Nella vita ho avuto fortuna. I miei genitori ed Arnie [il suo allenatore, n.d.r.] mi hanno sempre detto che potevo fare qualsiasi cosa. Come donna non mi sono mai accontentata di giocare con le bambole o fare solo la cheerleader. Sì, mi piaceva giocare con le bambole od indossare bei vestiti, ma mi divertivo anche ad arrampicarmi sugli alberi e a fare sport. Dopo la mia esperienza a Boston, capii che vi erano milioni di donne al mondo che erano cresciute senza credere di poter superare i limiti a loro imposti. Volevo fare qualcosa per migliorare le loro vite. Ciò di cui abbiamo bisogno è il coraggio di credere in noi stesse ed andare avanti passo dopo passo.”
K. V. Switzer
Il mondo in cui nasceva Kathrine Virginia Switzer (Amberg, 5 gennaio 1947) non vedeva di buon occhio le donne che si avvicinavano alle discipline sportive allora riservate solo agli uomini.
Una delle poche prospettive accettabili era diventare cheerleader, e fu così che anche la dodicenne Kathrine si avvicinò a quella disciplina.
Furono i genitori, contrariamente alle tendenze dell'epoca, ad insegnarle a pensare fuori dagli schemi: la ragazza quindi cambiò idea e s'iscrisse alla squadra di hockey su prato, dimostrando uno spirito competitivo molto più sviluppato rispetto a quello delle compagne di squadra che invece giocavano senza prendersi sul serio.
Durante gli allenamenti si avvicinò al mondo della corsa: da quel periodo imparò ad andare correre ogni giorno per 3 miglia.
Arrivata al college, questa sua insolita abitudine fu notata dall'allenatore della squadra di atletica, ed inserì anche lei per arrivare al numero di atleti necessari per l'iscrizione alle competizioni.
La cosa creò moltissimo scalpore: non era mai successo prima che una donna venisse inserita in una squadra maschile. Questo era ritenuto scandaloso, tanto che la giovane Kathrine ricevette diverse lettere minatorie.
Siamo ormai negli anni '60 e, mentre i movimenti femministi cercavano di dare voce sempre più forte a tutte le donne, nello sport (come in tanti altri ambiti della vita umana) ancora resistevano forti pregiudizi.
In questo contesto, per ottenere finalmente visibilità, alcune donne cominciarono a tentare imprese fuori dal comune.
Ad esempio, correre la maratona di Boston: una delle competizioni sportive più antiche al mondo (esiste fin dal 1897), la Mecca per tutti i maratoneti.
Quella gara era riservata solo agli uomini: si sosteneva che la struttura fisica della donna non fosse in grado di sopportare distanze così lunghe.
Andando contro tutti i pregiudizi, nel 1966 Bobbi Gibb partecipò e completò la corsa in poco più di 3 ore. Pur di correre, accettò di partecipare in forma anonima senza pettorale (e, quindi, senza alcun riconoscimento).
Sopra, Bobbi Gibb
La sua performance non ufficiale fu sufficiente a spingere altre a seguirla nell'impresa.
L'anno successivo, cogliendo la palla al balzo, anche Kathrine decise di partecipare.
Di nuovo, la presenza della ragazza venne considerata oltraggiosa: Switzer, infatti, era riuscita a procurarsi il pettorale ufficiale.
Iscrivendosi come "K. V. Switzer", aveva astutamente nascosto la sua identità di genere, ma poco dopo la partenza Jock Sample, uno dei giudici di gara, si accorse della situazione, si intromise nella gara e la affrontò.
Le intimò di uscire dal percorso di gara e di restituire il pettorale, afferrandole le braccia per spingerla via.
L'aiuto per Kathrine non tardò ad arrivare: il fidanzato, il lanciatore di martello Tom Miller (che stava correndo insieme a lei), si intromise e scaraventò via Sample, consentendole di correre via.
Intorno erano presenti dei giornalisti, che fotografarono tutta la sequenza.
Le immagini fecero il giro del mondo: fu così che Kathrine entrò nella storia.
(la linea d'arrivo. Fonte immagine: Flickr)
Completò la corsa in 4 ore e 20 minuti, con deciso appoggio da parte del pubblico.
La storia non finisce qui: a causa di questi eventi, la AAU (Amateur Athletic Union) proibì da quel momento in poi a tutte le donne di partecipare alle competizioni maschili, pena l'esclusione da qualsiasi altro tipo di gara.
Kathrine divenne quindi la portavoce di quella parte del movimento femminista che lottava per aprire lo sport anche alle donne.
Dopo anni di discussioni, proteste e manifestazioni, finalmente riuscì a convincere la Boston Athletic Association: dal 1972, la Boston Marathon è aperta a tutti.
(nell'immagine, Kathrine Switzer oggi, davanti
alla sequenza di fotografie che riprendono l'aggressione
che subì alla Boston Marathon del 1967. Fonte: flickr)
L'eco delle gesta di Kathrine ebbe risonanza enorme: da quell'anno in poi, caddero sempre più barriere, consentendo ad un numero sempre maggiore di donne nel mondo (e per un sempre maggior numero di discipline sportive) di partecipare pubblicamente alle competizioni, con debito riconoscimento per tutte, finalmente dimostrando che sport e femminilità corrono insieme.