Il naufragio di Colombo

La "guerra" delle statue e la memoria della colonizzazione

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Ultimo aggiornamento: 18/03/2022

Le recenti uccisioni di 2 afroamericani a Minneapolis ed Atlanta da parte di poliziotti statunitensi ha risvegliato con decine di imponenti dimostrazioni in nome di “Black Lives Matters” nelle principali città del mondo occidentale il movimento contro il razzismo. Forme espressive attuali – oltre al gesto della genuflessione – furono gli atti vandalici contro monumenti di presunti razzisti nonché la richiesta di rimozione degli stessi dai luoghi pubblici rappresentativi. Colpisce la repentinità e velocità con cui queste pulsioni hanno percorso le nostre metropoli  ma soprattutto anche la varietà dei bersagli selezionati. La furia imbrattatrice si scaricò così nei confronti delle effigie di esponenti storici del sudismo, razzismo e schiavismo statunitensi, come il generale sudista Robert Edward Lee[1], il presidente confederato Jefferson Davis[2], del generale e fondatore del Ku, Klux, Klan, Nathan Bedford Forrest. Ma anche personaggi conosciutissimi, veri portabandiera del mondo politico culturale occidentale, come il premier britannico Winston Churchill non furono risparmiati[3]. A livello nazionale italiano, la figura di maggior spicco fu quella del giornalista Indro Montanelli. La statua dedicatagli nel parco milanese che porta ora suo nome, fu già oggetto di un attacco a pittura rosa da parte di femministe del movimento “Non una di meno”. Ora si è ripetuta l’azione di protesta con l’uso del color rosso.  Ambedue gli “attentati” fanno riferimento alle esperienze coloniali del giornalista dal sapore anacronisticamente machista, se non addirittura razzista[4]. Pur la statua del eroe britannico della Seconda Guerra mondiale è stata “imbrattata” con la scritta accusatoria di essere “razzista”, quindi di essere un esponente del colonialismo inglese che condivise le politiche di segregazione etnica del 19º secolo. A un attenta lettura appaiano anticoloniali anche le manifestazioni negli Stati Uniti, avendo questa nazione per così dire importato il colonialismo nei propri territori attraverso la tratta degli schiavi e la discriminazione per 250 anni dei figli, nipoti e pronipoti di coloro che furono deportati dalle coste dell’Africa occidentale. Un colonialismo/razzismo perpetrato nei confronti della popolazione afroamericana. Ma soprattutto e anche nei confronti degli indigeni, dei primi abitanti e scopritori delle terre di là dall’oceano atlantico. L’appello “Black Lives Matters” è perciò estendibile a tutte quelle vite che avrebbero dovute contare e che il mondo bianco non ha rispettato e schiacciato proprio perché considerate inferiori se non addirittura inutili. Disprezzo, discriminazione, sfruttamento e atrocità commesse nei confronti della vita umana. Questi sono gli effetti collaterali delle scoperte dell’uomo europeo. L’esponente per eccellenza di queste scoperte fu certamente Cristoforo Colombo. Anche se si è sentito parlare questi giorni soprattutto delle proteste contro il razzismo bianco verso gli afroamericani i monumenti del navigatore genovese non sono usciti nemmeno loro indenni, come stanno a dimostrare gli esempi di Richmond e Boston[5]. Quindi non può stupire il fatto che le rivendicazioni anticolonialiste abbiano avuto anche loro spazio all’interno delle dimostrazioni nordamericane. Sorprende invece il ritardo che la parte settentrionale “bianca” e a maggioranza anglosassone ha accusato rispetto ai tentativi di ridefinizione identitaria che il contesto culturale latinoamericano ha sperimentato a partire dalla fine del secolo scorso. L’America del Sud ha conosciuto precocemente e in modo più radicale la rivisitazione e ridiscussione del modello culturale “conquistadora” nel provare attraverso nuove ricerche identitarie una ridefinizione del ruolo, perlomeno storico, della popolazione indigena nativa. Infatti, all’interno della cornice di questa rilettura, l’immagine di Colombo venne demonizzata, negando a quest’ultimo qualsiasi attributo civilizzatore, convertendolo in partecipe attivo dell’genocidio dei nativi. Anche chi tra storici ed antropologi latinoamericani tributano all’Europa la dimostrazione di rispetto per l’alterità latinoamericana, è convinto che tale rispetto nasca da una presunta condizione privilegiata di universalità che fa sì che si possa apprezzare l’Altro e nello stesso momento disprezzarlo. Il Vecchio Continente riaffermerebbe la sua superiorità attraverso una tolleranza superficiale che in realtà non farebbe altro che coprire una nuova forma di dominazione. Il cambio onomastico del 12 ottobre, da giornata celebrativa della scoperta d’America e del suo scopritore Cristoforo Colombo in “Día de la Resistencia Indígena” nei paesi del Nicaragua e del Venezuela sono la diretta conseguenza di questa nuova concezione della memoria. Il dibattito pubblico collettivo sulla figura di Colombo si è di seguito trasferito allo spazio pubblico di percezione collettiva. Di questa rilettura simbolica hanno fatto non per ultimo le spese anche le statue del nostro ammiraglio. Ecco assistere al “naufragio di Colombo”, raccontato attraverso 4 episodi emblematici.



[1] F.Q.  Floyd, In Virginia imbrattate le statue degli eroi confederati e razzisti. Monumento al Generale Lee a breve rimosso (Il Fatto Quotidiano, 09/06/2020) https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/06/09/floyd-in-virginia-imbrattate-le-statue-degli-eroi-confederati-e-razzisti-monumento-al-generale-lee-rimosso-a-breve/5828787/.  SPIELMAKER, Connor-ASMELASH, Leah Statue of Robert E. Lee gets a makeover with Pride Flag and 'BLM' sign (CNN, 14/06/2020) https://edition.cnn.com/2020/06/13/us/richmond-robert-e-lee-statue-trnd/index.html. Barriers placed around Robert

[2] LEVENSON, Michael Protesters Topple Statue of Jefferson Davis on Richmond’s Monument Avenue. A symbol of the Confederacy falls as demonstrations sparked by the death of George Floyd continue across the country (NYTimes, 11/06/2020),https://www.nytimes.com/2020/06/11/us/Jefferson-Davis-Statue-Richmond.html.

[3] NEMEC, Lucas “He was a racist”: Winston Churchill statue in Prague vandalized. The statue of Winston Churchill outside the University of Economics in Prague was spray painted 'Black Lives Matter' this morning (Expaz.cz, 11/06/2020) https://news.expats.cz/weekly-czech-news/he-was-racist-winston-churchill-statue-in-prague-vandalized/. CHRISTODOULOU, Holly No shame. Defiant Black Lives Matter protester brags ‘I vandalised Winston Churchill statue because he was a confirmed racist’ (The Sun, 08/06/2020) https://www.thesun.co.uk/news/11812114/black-lives-matter-vandal-winston-churchill/

[4] BALLESTRA, Silvia Montanelli non merita una statua (Internazionale, 16/06/2020) https://www.internazionale.it/opinione/silvia-ballestra/2020/06/16/statua-montanelli. CORLAZZOLI, Alex Montanelli, della statua non mi importa ma ora che so della sua vicenda dei dubbi me li pongo (Il Fatto Quotidiano, 16/06/2020) https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/06/16/montanelli-della-statua-non-mi-importa-ma-ora-che-so-della-sua-vicenda-dei-dubbi-me-li-pongo/5836208/. LANFRANCO, Monica-SOMMA, Nadia Perché rimuovere la statua di Indro Montanelli non ha senso e sarebbe un pericoloso errore (Il Fatto Quotidiano, 15/06/2020) https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/06/15/perche-rimuovere-la-statua-di-indro-montanelli-non-ha-senso-e-sarebbe-un-pericoloso-errore/5835012/

[5] LUPERINI, Silvia Usa, statue di Colombo abbattute e vandalizzate. Il monumento al navigatore genovese è stato divelto e gettato in un laghetto a Richmond, in Virginia, dopo una manifestazione pacifica in favore dei nativi. A Boston è stato decapitato (la Repubblica, 10/06/2020) https://www.repubblica.it/esteri/2020/06/10/news/usa_statue_colombo_abbattute_e_vandalizzate-258873826/


Monumento di Cristoforo Colombo a Buenos Aires

Sin dall’inizio del 20º secolo la statua di Cristoforo Colombo si trovò posta a pochi metri dalla sede centrale del potere esecutivo argentino, la Casa Rosada, nel parco che porta tutt’ora il suo nome e che comunemente fu conosciuto come il “giardino della Casa Rosada. L’idea di erigere un monumento a Colombo, nacque intorno alla celebrazione del primo centenario della Repubblica argentina nel 1910, e venne promossa dalla comunità italiana con la volontà di esprimere il proprio omaggio alla nazione argentina e di ringraziarla dell’ospitalità dimostrata durante le grandi ondate migratorie. Il concorso internazionale convocato in Italia venne aggiudicato dallo scultore romano Arnaldo Zocchi che vi lavorò per 7 anni. L’inaugurazione era prevista per l’anno 1915, ma dovette essere rinviata a causa dello scoppio della 1ª Guerra mondiale, al 1921. Nel momento di scegliere l’ubicazione del monumento venne eletto lo spazio posteriore alla Sede del Governo a simboleggiare il rapporto perenne tra i due paesi. Affermare in quegli anni la propria identità ispano-creola e cattolica fu una forma di differenziazione e sfiducia di fronte alla cultura liberale anglosassone e un modo di rimarcare il vincolo storico-culturale con il Vecchio Continente.

 

A partire dai due primi governi di Cristina Kirchner (2007-2011, 2011-2015) e in particolare con la celebrazione del 2º centenario della Rivoluzione di Maggio (2010) divenne sempre più evidente un mutamento di questo atteggiamento filoeuropeo. Con il Kirchnerismo si vide la necessità di un revisionismo storico che incluse non solo una forte rivendicazione dei popoli originari e delle questioni di genere, ma s’impose anche una rilettura radicale dei simboli identitari di radice europea. Durante il secondo mandato Kirchner venne così rinominato il salone della Casa Rosada intestato originariamente al navigatore genovese in “Salón de los Pueblos Originarios”. Nella stessa cornice ideologica prese forma l’idea della re-ubicazione del monumento di Colombo. Il progetto ebbe inizio nel 2012 e conobbe un percorso evolutivo complicato, contraddistinto da numerosi dibattiti ed interruzioni. La peregrinazione istituzionale del nostro ammiraglio ebbe fine con la decisione di ricollocazione della statua nella piazza del pontile di Puerto Argentino vicino all’Avenida Costanera Norte.

Le ragioni che resero necessarie lo spostamento della statua si basarono, secondo il comunicato governativo, sui seguenti aspetti: quello di sicurezza dell’edificio governativo e quello dello stato di conservazione precario del monumento. Se da una parte si intendeva che venisse garantita la salvaguardia materiale della statua, dall’altra non si voleva preservarla nella sua componente simbolica. La linea politica argentina trasformò Colombo in una figura scomoda, non meritoria di alcun omaggio. Essa finì allora ad incarnare i peggiori attributi dell’imperialismo europeo. Tale interpretazione venne condivisa da buona parte della popolazione, inclusi artisti – “…è un monumento al nostro essere orfani….ogni volta siamo meno figli dell’Europa, la madrepatria [Spagna] non ci riconosce più, siamo degli diseredati” – e storici – “…è un monumento alla stupidità…Colombo va spinto dal piedistallo come coloro che commisero crimini contro la democrazia, il popolo e la vita”. La comunità italiana, una tra le più rappresentative del paese, si oppose al trasferimento adducendo oltre ai motivi di conservazione patrimoniale quello storico-politico di “offerta più consacrata degli italiani all’Argentina”. É interessante notare che la stessa collettività indigena condivise visioni differenti. Se da una parte si pronunciò a favore della de-monumentalizzazione di un “simbolo del genocidio ed etnocidio dei popoli indigeni” espresse dall’altra un giudizio differenziato, come quello della comunità mapuche, che affermò che la questione del “monumento” aveva valore soltanto nel pensiero occidentale e non poteva essere proiettata sulla mentalità indigena”.

Mentre alla fine il nostro Colombo si trovò confinato sulle rive del Rio de la Plata, fu un’altra figura a prendere il suo posto nel centro di Buenos Aires. Nel 2013 Cristina Kirchner espresse la volontà del governo affinché  l’ex Piazza Colombo venisse intitolata all’eroina della Guerra d’Indipendenza della Bolivia Juana Azurduy (fonte: Wikipedia in spagnolo) con la dedica di una statua di bronzo alla guerrigliera peruviana. La battagliera donna divenuta generale dell’esercito argentino si conformò con i suoi attributi simbolici di meticciato, indipendentismo e emancipazione femminile al messaggio ideologico del Kirchnerismo del secolo 21º, e per certi versi del Peronismo degli anni ’40-’50 del '900.

Cristoforo Colombo simboleggia invece in questa visione ideologica l’Altro, l’Alieno, simbolo del “primo contatto” sanguinoso e violento che una cultura diversa, altra ebbe con gli indios americani (Il nome spagnolo di Colombo è Cristobál Colón e si prestò al gioco di parole come il COLONialismo). Il monumento dedicato a lui si converte in tal modo in un mero involucro estetico, vittima inerme di un disprezzo patrimoniale e di un assedio simbolico.

Monumento di Colombo a Bogotà

Un altro esempio di statua del navigatore che viveva un secondo viaggio, questa volta non oltreoceanico ma interurbano, e quello del Monumento colombino di Bogotà. Il monumento, creazione dello scultore italiano Cesare Sighinolfi nel 1893, venne ordinato dal Congresso della Repubblica colombiana per la commemorazione del 4º centenario della scoperta dell’America. La statua di Colombo venne accompagnata sul lato opposto da una scultura della regina Isabella I la Cattolica. Il complesso monumentale trovò la sua prima dislocazione nell’allora Calle 13, ribattezzata in tale occasione in Avenida Colón. L’ammiraglio con il braccio esteso stava ad indicare l’oriente, l’Europa, mentre Isabella di Castiglia apparve sostenendo con la mano destra un rotolo di carte a rappresentare il salvacondotto concesso a Colombo per la sua temeraria impresa. L’iscrizione citò: “La Repubblica di Colombia all’insigne ammiraglio Crisoforo Colombo, scopritore dell’America, e alla nobile protettrice della sua impresa la Illustre regina cattolica donna Isabella di Castiglia. 12 ottobre 1892.”

50 anni dopo la sua inaugurazione il monumento alle due celebrità subì un suo primo trasloco in Avenida delle Americhe, una strada che allora costituì uno tra i nodi principali del traffico bogotano, per trovare nel 1988 la sua collocazione attuale in Avenida Dorado. Nonostante il monumento avesse mantenuto sempre il suo aspetto iniziale e la sua coerenza interna, si verificò un mutamento importante a livello rappresentativo che sminuì la monumentalità e maestosità dell’opera. Al posto dell’imponente piedistallo di marmo le due figure andarono a poggiare su un blocco di pietra ocra molto inferiore di dimensioni.

Nel frattempo il complesso scultoreo era esposto al decadimento estetico e strutturale, vittima delle intemperie, dei fumi del traffico e anche di atti vandalici. Dimenticate dallo stato e ignorata dalla società, la coppia monumentale non godeva più della devozione dei tempi passati, anzi divenne sempre più oggetto delle proteste delle comunità indigene che reclamavano la sua rimozione e damnatio memoriae.  Le condizioni deplorabili indussero l’Istituto distrettuale per il Patrimonio Culturale a prendersi cura del suo consolidamento. La rivalorizzazione dell’opera comportò comunque una dislocazione – consistente nel girare la statua di Colombo di 22,5 gradi - che oltre che implicare un cambio leggero nella dinamica rappresentativa del complesso si ripercosse in modo cruciale sulla simbologia della figura del navigatore.

Ormai il genovese aveva girato le spalle al suo continente, l’Europa, a significare il distanziamento dai valori e dalla cultura del Vecchio Continente, una posizione che rispecchia alla perfezione le tesi revisioniste e le rivendicazioni identitarie del panamericanismo.

Monumento colombino di Caracas

Il caso del monumento di Colombo a Caracas, conosciuto anche come il Colombo del Golfo Triste, presenta senza dubbio l’esempio estremo dell’assedio all’immagine dello scopritore del Nuovo Mondo tanto per la violenza fisica quanto per la sua componente simbolica ed ideologica. La statua non fu come le altre opera di un’artista europeo ma come quella di Bogotà fu ideata nel 400º anniversario della scoperta delle Americhe (1892). Nel 1904 venne collocata nel Paseo Colón, ora Paseo de la Resistencia Indigena. Mentre alla fine del 19º secolo ed inizio del 20º Cristoforo Colombo venne considerato un grande eroe, artefice di un’autentica prodezza, simbolo di una conquista storico che rese possibile la nascita di un Nuovo Mondo, fu con i festeggiamenti del 5º centenario della Scoperta che la figura dell’ammiraglio dei due mari passava da icona della civilizzazione a essere considerato una vergogna politica. Questa visione si radicalizzò ulteriormente con il governo di Hugo Chávez la cui volontà di autoaffermazione americanista trovò la sua espressione nel 2002 con il decreto presidenziale che proclamò la commemorazione del 12 ottobre non più in nome di Colombo ma in nome della Resistenza Indigena.

In questo scenario politico-culturale ben due anni dopo, il 12 ottobre 2004, si realizzò con la Fiesta de la Resistencia, un giudizio simbolico nei confronti di Colombo che, accusato di tradimento e genocidio, venne rovesciato dal piedistallo. Anche la statua de La India, ubicata nella parte inferiore fu vittima dell’attacco vandalico perdendo le braccia, la testa e la gamba sinistra. Una volta spodestato il Colombo carachegno venne spezzato in due tronconi e imbrattato di pintura rossa a simboleggiare il sangue versato durante il genocidio degli indios.

Il processo proseguì con il trasferimento della statua nelle prossimità del Teatro Teresa Carreno per essere consegnato ad una Commissione designata dal governo che a sua volta doveva decidere la creazione di una statua raffigurante il cachique Guaicaipuro – capo indigeno che lottava nel 16º secolo contro la colonizzazione spagnola - con il materiale rimasto del monumento colombino. Il nuovo monumento avrebbe dovuto trovare la sua collocazione ideale nell’ormai rinominato Paseo de la Resistencia Indigena.

Tra le sfumature che caratterizzarono gli eventi di Caracas la più importante fu di sicuro la volontà di legittimare la demolizione dell’opera commemorativa a partire dai contesti politici ed ideologici vigenti nel paese latino tant’è che le persone che parteciparono all’atto vandalico si dichiararono apertamente simpatizzanti del governo chavista. Infatti, dopo un’iniziale presa di distanza dalla distruzione della statua, un alto esponente del governo espresse il suo orgoglio per un’azione che qualificò come “terrorismo simbolico, violenza iconoclasta, atto pedagogico”. Per quanto paradossale possa sembrare, uno dei temi assenti nella opinione pubblica fu proprio la posizione delle comunità indigene nei confronti della demolizione della statua motivata dal governo come atto di rivendicazione degli stessi nativi. Tra le varie posizioni rivendicate dalle comunità native si segnalò quella dell’Organización de Pueblos Indígenas del Estado Anzoategui che dichiarò: “… gli indigeni enunciano che questo tipo di azioni [quelle distruttive del Dia de la Resistencia Indígena del 12/10/2004) non sono opera loro. […] gli indigeni venezuelani non cercano lo scontro con la società creola, ma la convivenza pacifica con rispetto della diversità e pluralità culturale dei popoli”. Questa disparità di convincimenti tra i rappresentanti nativi, in nome dei quali si era levata l’azione vandalica, non venne mai sufficientemente inquadrata né dalla stampa, né dallo stesso governo.

La distruzione della statua colombina di Caracas costituisce un caso a parte che, per le sue tinte violente e radicali va ben al di là di una rilettura simbolica. La rivendicazione a posteriori fatta dal governo Chávez trasformò il giudizio su Colombo in un assedio legittimato le cui basi affondano nel pubblico ripudio dello scopritore genovese in quanto segno vivente del genocidio indigeno e dell’imperialismo occidentale. Questa posizione adottata dalle autorità governative rifiuta Colombo con tutto ciò che egli rappresenta e si presenta come premessa necessaria per la costruzione di un discorso politico antieuropeo e antiamericano all’interno di un fantasmagorico bolivarismo storicamente falsificato.

Monumento a Colombo in Uruguay

La decisione di dedicare un monumento di Colombo a Montevideo risale al 1892, con la motivazione, espressa già a Buenos Aires e Bogotà, di voler rimembrare il 4º centenario della scoperta del continente. L’artista italiano Antonio Bozzano completò l’opera in Italia, incaricandosi personalmente del suo trasferimento transoceanico. Tuttavia l’iniziativa perorata dal potere legislativo non ebbe alcun esito, così come l’intento di organizzare una colletta popolare per coprire i costi della statua. Il monumento giaceva altri 35 anni nei magazzini fin quando non venne eretto per iniziativa del Colegio Pio IX per le celebrazioni del 50º anniversario della fondazione dell’istituzione educativa.

Ciò che distingue l’Arco del Trionfo colombino dagli altri esempi previamente menzionati è il processo di riconversione di un monumento nato su iniziativa pubblica in un oggetto rappresentativo di carattere privato. Questa dinamica si inserisce in un contesto che, come negli altri casi, va dalla fine del 19º fino a metà del 20º secolo e si caratterizza per la generalizzata devozione nei confronti del navigatore genovese e dei valori che incarna. L’emergente desiderio di integrazione culturale dei numerosissimi emigranti fu sintomatico per una società latinoamericana sostanzialmente vincolata all’esaltazione dei valori nazionali di stampo creolo. Nonostante che l’entusiasmo iniziale sia scemato nel corso del secolo 20º, si può parlare di una sostanziale assenza nell’Uruguay contemporanea di un sentimento di avversione collettiva nei confronti del simbolo e della figura di Cristoforo Colombo. Questo fenomeno di particolare “clemenza” si spiega con un dato storico fondamentale: lo sterminio totale della popolazione nativa del territorio charrúa. Sebbene vi fossero alcune istanze di rivendicazione del passato charrúa, i richiami furono soltanto aneddotici e incapaci di avanzare una disputa massiccia intorno alla rappresentatività dell’ammiraglio dei due mari. Per la società uruguaya Colombo non è un personaggio problematico ma nemmeno oggetto di venerazione. Intorno alla statua vige una sorte di indifferenza che sostituisce la simbologia iniziale in valori di tipo geografico, visto che il monumento ha dato il nome al quartiere di Villa Colón.

L’indifferenza e la topograficazione monumentale si addicono anche al complesso scultoreo colombino del villaggio di Villa del Carmen (Durazno). La caratteristica maggiore del monumento carmense, quella che lo rende un esempio emblematico è la sua mancanza di biografia: si ignora l’origine della statua, i villici non sanno da dove proviene, né chi si era incaricato della sua collocazione attuale. L’esclusione dalla memoria collettiva è il corollario determinante della perdita di trascendenza di un monumento che nell’attualità si è convertito – come già la copia di Montevideo – in un mero riferimento topografico tanto per gli abitanti quanto per i viaggiatori che transitano nel territorio dipartimentale.

L’assenza di una minoranza indigena rappresentativa e delle sue potenziali rivendicazioni ha permesso la conservazione della figura colombina all’interno dell’immaginario collettivo creolo svuotandola delle sue connotazioni simboliche originali trasformando così la statua dello scopritore in un elemento passivo e indifferente.

Gli episodi descritti innanzi dimostrano una verità di fondo molto pratica: i valori ed i simboli che li rappresentano non sono eterni nel senso che se significavano qualcosa ai nostri antenati di 1 o 2 secoli fa, ora possono dirci più nulla – quindi essere sostanzialmente degli oggetti muti, passivi – o essere addirittura delle presenze “incomode” che fanno a pugno con le nostre concezioni del mondo e di vita. Allora monumenti e figure del nostro passato diventano bersagli di atti vandalici, di rimozione o demolizione. D’altronde non tutto il nostro passato è in questo senso degno di essere venerato e ricordato, anzi il più delle volte le reminiscenze artistiche che lo venerano in virtù del fatto che la singola opera detiene una sua particolare aura/trascendenza e con ciò il potere evocativo di ciò che rappresenta, queste reminiscenze monumentali esercitano una forza di ricatto nei confronti di una percezione pubblica collettiva (non importa se maggioritaria o meno) ormai ostile a quel passato che i complessi monumentali idolatrano. E lo fanno a maggior ragione là dove il potere politico decide di preservarne l’incolumità fisica (nota). Un esempio eclatante è proprio di questi giorni: il Congresso del Tennessee ha votato affinché l’incriminata statua del fondatore del Ku Klux Klan rimanga al suo posto. L’immagine evocativa del gesto e dello stesso monumento trasmette comunque il messaggio che “il Tennessee” è legato in qualche modo ancora al barbuto generale sudista. Anche se non esplicitata la decisione di conservazione è un atto politico “significante”, cioè un segno. Altrettanto storicamente legittimo è il segno/atto opposto, vale a dire la rimozione della pietra dello scandalo.  La storia è memoria, conservazione, ricordo, ma pure oblio, rimozione, damnatio memoriae e distruzione. Non tocca ad un falso senso storicista appiccicare al nostro passato molto spesso inglorioso il bollo della conservabilità. La storia è maestra (se ci si crede) ma spesso essa può essere una maestra cattiva. Sta allora al senso storico degli uomini a volte senza voce – o se si vuole fiato – ad attuare un discrimine e a ridiscutere gli idoli della cattiveria[1].

La storia dei 4 monumenti latinoamericani è tratta da:

Aranyossy, Cecilia  El naufragio de Colón. Relecturas latinoamericanas de los monumentos colombinos y sus consecuencias patrimoniales, Universidad de Barcelona, Conservación de Bienes Culturales, Curso 2019/2020.

 

 

 

 



[1] IGIABA, Scego Cosa fare con le tracce scomode del nostro passato (Internazionale, 09/06/2020) https://www.internazionale.it/opinione/igiaba-scego/2020/06/09/tracce-passato-colonialismo-razzismo-fascismo. PORTELLI, Alessandro Movimenti, Monumenti, Ipocrisia. L’irruzione dei movimenti nella Storia (da Il Manifesto, 16/06/2020) https://officinadeisaperi.it/materiali/movimenti-monumenti-ipocrisia-da-il-manifesto/.

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