Monumento di Cristoforo
Colombo a Buenos Aires
Sin dall’inizio del 20º secolo la
statua di Cristoforo Colombo si trovò posta a pochi metri dalla sede centrale
del potere esecutivo argentino, la Casa Rosada, nel parco che porta tutt’ora il
suo nome e che comunemente fu conosciuto come il “giardino della Casa Rosada.
L’idea di erigere un monumento a Colombo, nacque intorno alla celebrazione del
primo centenario della Repubblica argentina nel 1910, e venne promossa dalla
comunità italiana con la volontà di esprimere il proprio omaggio alla nazione
argentina e di ringraziarla dell’ospitalità dimostrata durante le grandi ondate
migratorie. Il concorso internazionale convocato in Italia venne aggiudicato
dallo scultore romano Arnaldo Zocchi che vi lavorò per 7 anni. L’inaugurazione
era prevista per l’anno 1915, ma dovette essere rinviata a causa dello scoppio
della 1ª Guerra mondiale, al 1921. Nel momento di scegliere l’ubicazione del
monumento venne eletto lo spazio posteriore alla Sede del Governo a
simboleggiare il rapporto perenne tra i due paesi. Affermare in quegli anni la
propria identità ispano-creola e cattolica fu una forma di differenziazione e
sfiducia di fronte alla cultura liberale anglosassone e un modo di rimarcare il
vincolo storico-culturale con il Vecchio Continente.
A partire dai due primi governi
di Cristina Kirchner (2007-2011, 2011-2015) e in particolare con la
celebrazione del 2º centenario della Rivoluzione di Maggio (2010) divenne
sempre più evidente un mutamento di questo atteggiamento filoeuropeo. Con il
Kirchnerismo si vide la necessità di un revisionismo storico che incluse non
solo una forte rivendicazione dei popoli originari e delle questioni di genere,
ma s’impose anche una rilettura radicale dei simboli identitari di radice
europea. Durante il secondo mandato Kirchner venne così rinominato il salone
della Casa Rosada intestato originariamente al navigatore genovese in “Salón de los Pueblos
Originarios”. Nella stessa cornice ideologica prese forma l’idea della
re-ubicazione del monumento di Colombo. Il progetto ebbe inizio nel 2012 e
conobbe un percorso evolutivo complicato, contraddistinto da numerosi dibattiti
ed interruzioni. La peregrinazione istituzionale del nostro ammiraglio ebbe
fine con la decisione di ricollocazione della statua nella piazza del pontile
di Puerto Argentino vicino all’Avenida Costanera Norte.

Le ragioni che resero necessarie
lo spostamento della statua si basarono, secondo il comunicato governativo, sui
seguenti aspetti: quello di sicurezza dell’edificio governativo e quello dello
stato di conservazione precario del monumento. Se da una parte si intendeva che
venisse garantita la salvaguardia materiale della statua, dall’altra non si
voleva preservarla nella sua componente simbolica. La linea politica argentina
trasformò Colombo in una figura scomoda, non meritoria di alcun omaggio. Essa
finì allora ad incarnare i peggiori attributi dell’imperialismo europeo. Tale
interpretazione venne condivisa da buona parte della popolazione, inclusi
artisti – “…è un monumento al nostro essere orfani….ogni volta siamo meno figli
dell’Europa, la madrepatria [Spagna] non ci riconosce più, siamo degli
diseredati” – e storici – “…è un monumento alla stupidità…Colombo va spinto dal
piedistallo come coloro che commisero crimini contro la democrazia, il popolo e
la vita”. La comunità italiana, una tra le più rappresentative del paese, si
oppose al trasferimento adducendo oltre ai motivi di conservazione patrimoniale
quello storico-politico di “offerta più consacrata degli italiani all’Argentina”.
É interessante notare che la stessa collettività indigena condivise visioni
differenti. Se da una parte si pronunciò a favore della de-monumentalizzazione
di un “simbolo del genocidio ed etnocidio dei popoli indigeni” espresse
dall’altra un giudizio differenziato, come quello della comunità mapuche, che
affermò che la questione del “monumento” aveva valore soltanto nel pensiero
occidentale e non poteva essere proiettata sulla mentalità indigena”.
Mentre alla fine il nostro
Colombo si trovò confinato sulle rive del Rio de la Plata, fu un’altra figura a
prendere il suo posto nel centro di Buenos Aires. Nel 2013 Cristina Kirchner
espresse la volontà del governo affinché
l’ex Piazza Colombo venisse intitolata all’eroina della Guerra
d’Indipendenza della Bolivia Juana Azurduy (fonte: Wikipedia in spagnolo) con la dedica di una statua
di bronzo alla guerrigliera peruviana. La battagliera donna divenuta generale
dell’esercito argentino si conformò con i suoi attributi simbolici di
meticciato, indipendentismo e emancipazione femminile al messaggio ideologico
del Kirchnerismo del secolo 21º, e per certi versi del Peronismo degli anni
’40-’50 del '900.

Cristoforo Colombo simboleggia invece
in questa visione ideologica l’Altro, l’Alieno, simbolo del “primo contatto”
sanguinoso e violento che una cultura diversa, altra ebbe con gli indios
americani (Il nome spagnolo di Colombo è Cristobál Colón e si prestò al gioco
di parole come il COLONialismo). Il monumento dedicato a lui si converte in tal
modo in un mero involucro estetico, vittima inerme di un disprezzo patrimoniale
e di un assedio simbolico.
Monumento di Colombo a Bogotà
Un altro esempio di statua del
navigatore che viveva un secondo viaggio, questa volta non oltreoceanico ma
interurbano, e quello del Monumento colombino di Bogotà. Il monumento,
creazione dello scultore italiano Cesare Sighinolfi nel 1893, venne ordinato
dal Congresso della Repubblica colombiana per la commemorazione del 4º
centenario della scoperta dell’America. La statua di Colombo venne accompagnata
sul lato opposto da una scultura della regina Isabella I la Cattolica. Il
complesso monumentale trovò la sua prima dislocazione nell’allora Calle 13,
ribattezzata in tale occasione in Avenida Colón. L’ammiraglio con il braccio
esteso stava ad indicare l’oriente, l’Europa, mentre Isabella di Castiglia
apparve sostenendo con la mano destra un rotolo di carte a rappresentare il
salvacondotto concesso a Colombo per la sua temeraria impresa. L’iscrizione
citò: “La Repubblica di Colombia all’insigne ammiraglio Crisoforo Colombo,
scopritore dell’America, e alla nobile protettrice della sua impresa la
Illustre regina cattolica donna Isabella di Castiglia. 12 ottobre 1892.”

50 anni dopo la sua inaugurazione
il monumento alle due celebrità subì un suo primo trasloco in Avenida delle
Americhe, una strada che allora costituì uno tra i nodi principali del traffico
bogotano, per trovare nel 1988 la sua collocazione attuale in Avenida Dorado.
Nonostante il monumento avesse mantenuto sempre il suo aspetto iniziale e la
sua coerenza interna, si verificò un mutamento importante a livello rappresentativo
che sminuì la monumentalità e maestosità dell’opera. Al posto dell’imponente
piedistallo di marmo le due figure andarono a poggiare su un blocco di pietra
ocra molto inferiore di dimensioni.
Nel frattempo il complesso
scultoreo era esposto al decadimento estetico e strutturale, vittima delle
intemperie, dei fumi del traffico e anche di atti vandalici. Dimenticate dallo
stato e ignorata dalla società, la coppia monumentale non godeva più della
devozione dei tempi passati, anzi divenne sempre più oggetto delle proteste
delle comunità indigene che reclamavano la sua rimozione e damnatio memoriae. Le condizioni deplorabili indussero l’Istituto
distrettuale per il Patrimonio Culturale a prendersi cura del suo
consolidamento. La rivalorizzazione dell’opera comportò comunque una
dislocazione – consistente nel girare la statua di Colombo di 22,5 gradi - che
oltre che implicare un cambio leggero nella dinamica rappresentativa del
complesso si ripercosse in modo cruciale sulla simbologia della figura del
navigatore.

Ormai il genovese aveva girato le spalle al suo continente,
l’Europa, a significare il distanziamento dai valori e dalla cultura del
Vecchio Continente, una posizione che rispecchia alla perfezione le tesi
revisioniste e le rivendicazioni identitarie del panamericanismo.
Monumento colombino di Caracas
Il caso del monumento di Colombo
a Caracas, conosciuto anche come il Colombo del Golfo Triste, presenta senza
dubbio l’esempio estremo dell’assedio all’immagine dello scopritore del Nuovo
Mondo tanto per la violenza fisica quanto per la sua componente simbolica ed
ideologica. La statua non fu come le altre opera di un’artista europeo ma come
quella di Bogotà fu ideata nel 400º anniversario della scoperta delle Americhe
(1892). Nel 1904 venne collocata nel Paseo Colón, ora Paseo de la Resistencia
Indigena. Mentre alla fine del 19º secolo ed inizio del 20º Cristoforo Colombo
venne considerato un grande eroe, artefice di un’autentica prodezza, simbolo di
una conquista storico che rese possibile la nascita di un Nuovo Mondo, fu con i
festeggiamenti del 5º centenario della Scoperta che la figura dell’ammiraglio
dei due mari passava da icona della civilizzazione a essere considerato una
vergogna politica. Questa visione si radicalizzò ulteriormente con il governo
di Hugo Chávez la cui volontà di autoaffermazione americanista trovò la sua
espressione nel 2002 con il decreto presidenziale che proclamò la
commemorazione del 12 ottobre non più in nome di Colombo ma in nome della
Resistenza Indigena.

In questo scenario
politico-culturale ben due anni dopo, il 12 ottobre 2004, si realizzò con la
Fiesta de la Resistencia, un giudizio simbolico nei confronti di Colombo che,
accusato di tradimento e genocidio, venne rovesciato dal piedistallo. Anche la
statua de La India, ubicata nella parte inferiore fu vittima dell’attacco vandalico
perdendo le braccia, la testa e la gamba sinistra. Una volta spodestato il
Colombo carachegno venne spezzato in due tronconi e imbrattato di pintura rossa
a simboleggiare il sangue versato durante il genocidio degli indios.


Il processo proseguì con il
trasferimento della statua nelle prossimità del Teatro Teresa Carreno per
essere consegnato ad una Commissione designata dal governo che a sua volta
doveva decidere la creazione di una statua raffigurante il cachique Guaicaipuro – capo indigeno che lottava nel 16º secolo contro la colonizzazione spagnola - con
il materiale rimasto del monumento colombino. Il nuovo monumento avrebbe dovuto
trovare la sua collocazione ideale nell’ormai rinominato Paseo de la
Resistencia Indigena.

Tra le sfumature che caratterizzarono
gli eventi di Caracas la più importante fu di sicuro la volontà di legittimare
la demolizione dell’opera commemorativa a partire dai contesti politici ed
ideologici vigenti nel paese latino tant’è che le persone che parteciparono
all’atto vandalico si dichiararono apertamente simpatizzanti del governo
chavista. Infatti, dopo un’iniziale presa di distanza dalla distruzione della
statua, un alto esponente del governo espresse il suo orgoglio per un’azione
che qualificò come “terrorismo simbolico, violenza iconoclasta, atto
pedagogico”. Per quanto paradossale possa sembrare, uno dei temi assenti nella
opinione pubblica fu proprio la posizione delle comunità indigene nei confronti
della demolizione della statua motivata dal governo come atto di rivendicazione
degli stessi nativi. Tra le varie posizioni rivendicate dalle comunità native
si segnalò quella dell’Organización de Pueblos Indígenas del Estado Anzoategui
che dichiarò: “… gli indigeni enunciano che questo tipo di azioni [quelle
distruttive del Dia de la Resistencia Indígena del 12/10/2004) non sono opera
loro. […] gli indigeni venezuelani non cercano lo scontro con la società
creola, ma la convivenza pacifica con rispetto della diversità e pluralità
culturale dei popoli”. Questa disparità di convincimenti tra i rappresentanti
nativi, in nome dei quali si era levata l’azione vandalica, non venne mai
sufficientemente inquadrata né dalla stampa, né dallo stesso governo.
La distruzione della statua
colombina di Caracas costituisce un caso a parte che, per le sue tinte violente
e radicali va ben al di là di una rilettura simbolica. La rivendicazione a
posteriori fatta dal governo Chávez trasformò il giudizio su Colombo in un
assedio legittimato le cui basi affondano nel pubblico ripudio dello scopritore
genovese in quanto segno vivente del genocidio indigeno e dell’imperialismo
occidentale. Questa posizione adottata dalle autorità governative rifiuta
Colombo con tutto ciò che egli rappresenta e si presenta come premessa
necessaria per la costruzione di un discorso politico antieuropeo e
antiamericano all’interno di un fantasmagorico bolivarismo storicamente falsificato.
Monumento a Colombo in Uruguay
La decisione di dedicare un
monumento di Colombo a Montevideo risale al 1892, con la motivazione, espressa
già a Buenos Aires e Bogotà, di voler rimembrare il 4º centenario della
scoperta del continente. L’artista italiano Antonio Bozzano completò l’opera in
Italia, incaricandosi personalmente del suo trasferimento transoceanico.
Tuttavia l’iniziativa perorata dal potere legislativo non ebbe alcun esito, così
come l’intento di organizzare una colletta popolare per coprire i costi della
statua. Il monumento giaceva altri 35 anni nei magazzini fin quando non venne
eretto per iniziativa del Colegio Pio IX per le celebrazioni del 50º
anniversario della fondazione dell’istituzione educativa.
Ciò che distingue l’Arco del
Trionfo colombino dagli altri esempi previamente menzionati è il processo di
riconversione di un monumento nato su iniziativa pubblica in un oggetto
rappresentativo di carattere privato. Questa dinamica si inserisce in un
contesto che, come negli altri casi, va dalla fine del 19º fino a metà del 20º
secolo e si caratterizza per la generalizzata devozione nei confronti del
navigatore genovese e dei valori che incarna. L’emergente desiderio di
integrazione culturale dei numerosissimi emigranti fu sintomatico per una
società latinoamericana sostanzialmente vincolata all’esaltazione dei valori
nazionali di stampo creolo. Nonostante che l’entusiasmo iniziale sia scemato
nel corso del secolo 20º, si può parlare di una sostanziale assenza
nell’Uruguay contemporanea di un sentimento di avversione collettiva nei
confronti del simbolo e della figura di Cristoforo Colombo. Questo fenomeno di
particolare “clemenza” si spiega con un dato storico fondamentale: lo sterminio
totale della popolazione nativa del territorio charrúa. Sebbene vi fossero
alcune istanze di rivendicazione del passato charrúa, i richiami furono
soltanto aneddotici e incapaci di avanzare una disputa massiccia intorno alla
rappresentatività dell’ammiraglio dei due mari. Per la società uruguaya Colombo
non è un personaggio problematico ma nemmeno oggetto di venerazione. Intorno
alla statua vige una sorte di indifferenza che sostituisce la simbologia
iniziale in valori di tipo geografico, visto che il monumento ha dato il nome
al quartiere di Villa Colón.
L’indifferenza e la
topograficazione monumentale si addicono anche al complesso scultoreo colombino
del villaggio di Villa del Carmen (Durazno). La caratteristica maggiore del
monumento carmense, quella che lo rende un esempio emblematico è la sua
mancanza di biografia: si ignora l’origine della statua, i villici non sanno da
dove proviene, né chi si era incaricato della sua collocazione attuale.
L’esclusione dalla memoria collettiva è il corollario determinante della
perdita di trascendenza di un monumento che nell’attualità si è convertito –
come già la copia di Montevideo – in un mero riferimento topografico tanto per
gli abitanti quanto per i viaggiatori che transitano nel territorio
dipartimentale.
L’assenza di una minoranza
indigena rappresentativa e delle sue potenziali rivendicazioni ha permesso la
conservazione della figura colombina all’interno dell’immaginario collettivo
creolo svuotandola delle sue connotazioni simboliche originali trasformando
così la statua dello scopritore in un elemento passivo e indifferente.
Gli episodi descritti innanzi
dimostrano una verità di fondo molto pratica: i valori ed i simboli che li
rappresentano non sono eterni nel senso che se significavano qualcosa ai nostri
antenati di 1 o 2 secoli fa, ora possono dirci più nulla – quindi essere
sostanzialmente degli oggetti muti, passivi – o essere addirittura delle
presenze “incomode” che fanno a pugno con le nostre concezioni del mondo e di
vita. Allora monumenti e figure del nostro passato diventano bersagli di atti
vandalici, di rimozione o demolizione. D’altronde non tutto il nostro passato è
in questo senso degno di essere venerato e ricordato, anzi il più delle volte
le reminiscenze artistiche che lo venerano in virtù del fatto che la singola
opera detiene una sua particolare aura/trascendenza e con ciò il potere
evocativo di ciò che rappresenta, queste reminiscenze monumentali esercitano
una forza di ricatto nei confronti di una percezione pubblica collettiva (non
importa se maggioritaria o meno) ormai ostile a quel passato che i complessi
monumentali idolatrano. E lo fanno a maggior ragione là dove il potere politico
decide di preservarne l’incolumità fisica (nota). Un esempio eclatante è
proprio di questi giorni: il Congresso del Tennessee ha votato affinché
l’incriminata statua del fondatore del Ku Klux Klan rimanga al suo posto.
L’immagine evocativa del gesto e dello stesso monumento trasmette comunque il
messaggio che “il Tennessee” è legato in qualche modo ancora al barbuto
generale sudista. Anche se non esplicitata la decisione di conservazione è un
atto politico “significante”, cioè un segno. Altrettanto storicamente legittimo
è il segno/atto opposto, vale a dire la rimozione della pietra dello
scandalo. La storia è memoria,
conservazione, ricordo, ma pure oblio, rimozione, damnatio memoriae e
distruzione. Non tocca ad un falso senso storicista appiccicare al nostro
passato molto spesso inglorioso il bollo della conservabilità. La storia è
maestra (se ci si crede) ma spesso essa può essere una maestra cattiva. Sta
allora al senso storico degli uomini a volte senza voce – o se si vuole fiato –
ad attuare un discrimine e a ridiscutere gli idoli della cattiveria.
La storia dei 4 monumenti latinoamericani è tratta da:
Aranyossy, Cecilia El
naufragio de Colón. Relecturas latinoamericanas de los monumentos
colombinos y sus consecuencias patrimoniales, Universidad de Barcelona, Conservación de
Bienes Culturales, Curso 2019/2020.