I primi viaggiatori europei d’età moderna si sentivano attratti dal territorio storico della Siria e della Palestina, così come di altre regioni del Vicino Oriente, inizialmente per ragioni religiose o politiche. A queste si aggiungevano successivamente delle motivazioni antiquarie e scientifiche. Tuttavia l’instabilità dell’Impero Ottomano nel 19º secolo causava non poche limitazioni ad esploratori e viaggiatori tanto che le spedizioni dipendevano in ampia misura dal grado di coraggio dei partecipanti.
Uno tra i primi ad esplorare ampie fette del Vicino Oriente fu l’esploratore ed orientalista svizzero Johann Ludwig Burkhardt. Lo scopritore europeo del sito di Petra (Wadi Musa) – l’anno fu 1812 - e di Abu Simbel si era convertito all’Islam e aveva intrapreso – conoscendo perfettamente l’arabo ed a fondo il Corano - il pellegrinaggio a Mecca, dove soggiornava per 3 anni. Di questi viaggi e delle altre scoperte fatte nel corso della sua breve vita – egli morì a 33 anni al Cairo - diede notizia nelle sue opere Travels in Syria and the Holy Land, Travels in Nubia e Travels in Arabia.
Le sue pubblicazioni contribuirono non poco all’insorgenza della “febbre d’Oriente”, sotto l’influsso della quale artisti, collezionisti, avventurieri e studiosi cominciavano ad affluire in massa nei territori tra Eufrate e Tigri, la Grande Siria ed il nord della penisola arabica. La maggior parte dei viaggiatori avevano goduto di una formazione classica e portarono con sé prevalentemente interessi, appunto, classici per il passato greco-romano, nonché per la Terra Santa. Studi riguardanti l’amministrazione militare romana attraverso la raccolta di epigrafi, iscrizioni e scavi archeologici intorno alle ex-provincie romane e al Limes arabicus riempirono volumi e volumi di resoconti stipati nelle biblioteche universitarie del vecchio continente. Ma, accanto alle esplorazioni dell’antichità classica mediorientale si svegliavano ben presto gli interessi circa il dominio dei primi califfati su questo ampio territorio attraverso studi di epigrafia araba nonché archeologia islamica. Tra questi pionieri si trovava anche il protagonista di questo breve percorso, il prete moravo Alois Musil.

Il “Lawrence di Moravia”, così venne anche denominato, è sconosciuto ai più, a differenza della sua controparte inglese, malgrado le sue importantissime scoperte in ambito archeologico e la sua non meno avventurosa vita prima e durante la Grande Guerra. Il motivo dell’oblio di questo “eroe sconosciuto” sta nel fatto di essersi trovato sempre dalla parte sbagliata della storia: in quanto ufficiale asburgico dalla parte del perdente, poi in quanto ceco scaricato dagli austriaci, come ex-asburgico malvisto dai repubblicani cechi prima e dai comunisti cechi poi.
Alois Musil nacque il 30 maggio 1868 a Rychtářov in Moravia da una famiglia di contadini. Poiché la situazione economica della famiglia non era molto prospera, Alois – dopo il percorso scolastico obbligatorio - decise di entrare nel seminario di Olomouc dove dimostrò un particolare interesse per la storia biblica ed un significativo talento per le lingue. Nel 1891 Musil venne consacrato sacerdote e quattro anni dopo riuscì a conseguire il dottorato con il massimo dei voti.
Dopo l'iniziale intenzione di studiare la vita religiosa del suo popolo ceco, il giovane Alois prese la decisione di dedicarsi alla carriera di biblicista - lo stesso papa Leone XIII aveva incentivato lo studio della storia biblica e i primi scavi in Mesopotamia e Vicino Oriente avevano implementato il materiale archeologico - e di intraprendere quindi un viaggio di studi in Palestina.
Musil era convinto che il deserto arabo fosse stato la sorgente del monoteismo biblico dei patriarchi. Egli credette che la situazione culturale e religiosa del cuore del deserto arabico fosse stata, a cavallo tra 19º e 20º secolo, paragonabile a quella dei tempi biblici, che i gruppi etnici e le culture dei beduini avessero preservato, per così dire, la loro arcaicità. Pertanto considerò l'Antico Testamento come racconto storico attendibile dell’umanità culminante nell'avvento di Gesù Cristo. Il metodo di retroproiezione delle conoscenze di culture considerate “primitive” per illuminare il passato venne usato successivamente dallo stesso Musil anche per le sue ipotesi intorno ai fondatori dei castelli desertici degli Omayyadi.
Nel 1895 lo studioso moravo ottenne una piccola borsa di studio che gli consentì di recarsi presso l'École pratique d’études bibliques, a Gerusalemme. Durante un primo viaggio di studi Musil visitò l'Egitto con la capitale il Cairo e ritornò in Palestina per la via dell'esodo. Lì si iscrisse al secondo anno di archeologia biblica. Scontento delle ristrettezze culturali dell'École biblique il sacerdote si trasferì all'Università Saint-Joseph di Beirut dove perfezionò le sue conoscenze in campo archeologico e soprattutto linguistico conseguendo la padronanza completa dell'assiro, ebraico ed arabo.
Quando il suo soggiorno in Medio Oriente sembrava destinato ad una ingloriosa, quanto anticipata conclusione a causa dell’annullamento della borsa di studio da parte dell'arcivescovo di Olomouc, gli si spalancarono le porte a quella che dovette diventare la scoperta della sua vita. Grazie ai 2000 fiorini d'oro messi a disposizione da parte dell’Accademia delle Scienze di Vienna e Praga l'archeologo prete poté iniziare nel marzo del 1898 la spedizione che culminò con la scoperta degli affreschi del castello omayyade di Qusayr Amra.
Ma prima di dedicarci al coup de vie del prete moravo, vale la pena accennare in poche parole alla formazione del Nostro come esploratore.
Prime spedizioni archeologiche e cartografiche
Musil visitò ripetutamente la penisola del Sinai ed il territorio dell'Arabia Petraea. I resoconti di Musil provano che sin dai primi momenti vi fossero tra i principali focus dei suoi viaggi, accanto alla raccolta di reperti biblici, etnografici ed archeologici, anche l'esplorazione dell'ambiente fisico, la rilevazione delle distanze e quindi la creazione di mappe.
Ben presto il sacerdote in burnus si stancò delle spedizioni organizzate da parte delle istituzioni scientifiche occidentali: “... certo [da queste spedizioni] ho portato a casa collezioni di piante, minerali, fotografie, disegni, mappe, commenti sul paesaggio, sulle vallate, le montagne, con coordinate e distanze, ma tutto questo era frammentario, incompleto e senza la conoscenza della vita e delle popolazioni che vivevano là. Viaggiare in carovana è confortevole, ma costoso e non comporta grandi benefici”. Quindi cominciò ad organizzare delle spedizioni esplorative “snelle” con al massimo uno o due accompagnatori.

Tra il 1896, anno del suo primo arrivo in Medio Oriente ed il 1902 Musil compì ben 5 viaggi all'interno del Sinai e del confinante territorio giordano (fino a Wadi Musa, l'antica Petra nabatea) durante i quali scampò a ripetuti attacchi di predoni, ad un'epidemia di colera nonché all'arresto da parte delle truppe di frontiera turche in quanto sospettato di essere una spia egiziana. Oltre alla copertura cartografica dell'intero confine sudorientale della Palestina, il sacerdote esplorò i resti del sistema difensivo romano della zona nonché i sistemi militari ed irrigui della capitale dei nabatei.
Negli anni 1908-1909 Alois Musil intraprese, assieme al cartografo Rudolf Thomasberger del Istituto Geografico Militare di Vienna una spedizione esplorativa verso l'interno della Penisola arabica. Lo scopo principale era mappare la regione tra il 37º-43º di longitudine e il 31º-33º latitudine. Seguì un altro viaggio esplorativo su incarico del governo ottomano nei dintorni della ferrovia dell'Hegiaz (Damasco-Medina) tra Ma'an e al-Ula per l'anno 1910. Il successivo viaggio verso la Siria nordorientale e la Mesopotamia vide la presenza del principe Sisto Ferdinando di Borbone Parma. La spedizione partì da Damasco nel 1912, viaggiò via Palmira fino al bacino dell'Eufrate e del Tigri, infine Babilonia per ritornare poi a Damasco. Il ritorno del prete beduino nel cuore del Deserto Arabico nel 1914-1915 fu dettato, come vedremo, da intenti diplomatici e militari, quelli relativi alla ricerca scientifica erano di certo secondari.
La scoperta degli affreschi di Qusayr (Qasr) Amra
Il nome di Alois Musil resterà per sempre legato al sito di Qusayr Amra. L’individuazione di questo castello figura come una tra le scoperte più importanti e significanti nell’ambito dell'archeologia islamica. Del luogo, situato a tre quarti di percorso tra Amman ed il confine saudita, Musil venne a conoscenza per bocca di un beduino che elogiò ampiamente le decorazioni figurali. L’archeologo asburgico era comunque inizialmente inabilitato di recarsi al sito a causa delle faide e guerre tra tribù nomadi ostili nonché delle leggende e superstizioni che circondarono il castello.
Il suo primo soggiorno al palazzo omayyade si limitò a poche ore dato che all'apparire di una colonna di beduini armati gli accompagnatori di Musil intimavano alla fuga. Nella scaramuccia che ne seguì vennero uccisi 13 uomini, tra cui anche la sua guida beduina.
Ciò nonostante Musil poteva rivelare al mondo una scoperta sensazionale: in una delle sale l'intera superficie era decorata da pregevoli affreschi raffiguranti scene campestri e figure femminili. Nelle alcove adiacenti si trovarono raffigurati sei sovrani infedeli in procinto di sottomettersi al califfo.


Tuttavia, l'affresco che ha destato più scalpore, in Musil, ma anche nel corso dei secoli nei visitatori, era sicuramente quello che rappresenta una donna a petto scoperto che esce dalla vasca da bagno di un hammam: la sinuosità delle linee e la grazia con cui il corpo della fanciulla è stato raffigurato, testimonia un alto livello di sviluppo pittorico sotto evidente influsso bizantino, unico nel suo genere, poiché del tutto estraneo ai consueti stilemi dell'arte islamica, dettati dai vari divieti religiosi.


A queste si aggiungevano altre immagini rievocanti momenti voluttuosi, di svago e di lavoro.
Date le circostanze, Musil non potè ritornare al sito durante la stessa spedizione, ma il moravo riuscì a strappare allo sceicco, signore della zona, la promessa di vietare l'accesso al castello a tutti fuorché allo stesso Musil.
Ritornato a Vienna per conferire davanti all’illustre pubblico dell'Accademia delle Scienze imperiale, il sacerdote beduino, sprovvisto di fotografie dell'interno del castello, data la precipitosa fuga, subì una cocente umiliazione. La platea di professori non gli credette: “Il famoso esperto, Professor Karabacek, asserì che era assolutamente impossibile per i primi successori del profeta Maometto decorare la residenza estiva con dipinti e di consentire il ritratto di figure umane. Secondo lui questi sfiderebbero le leggi islamiche e di tale sfida non ve ne sarebbe traccia alcuna in tutta la letteratura araba. Poiché Qusayr Amra doveva essere scientificamente impossibile, il castello con i suoi affreschi non sarebbe stato oggetto di una ricerca scientifica, ma semplicemente frutto dell'immaginazione. Di conseguenza mi si accusava di essere un impostore.”
Data l’accusa infamante, dopo un anno di studi presso il British Museum, l'Università di Cambridge, nonché musei e università di Berlino, Musil ritornò a Qusayr Amra con una macchina fotografica, unico “regalo” dell’Accademia. Accanto a 120 fotografie lo studioso produsse numerosi schizzi dei dipinti, planimetrie delle strutture architettoniche, trascrizioni delle numerose iscrizioni in arabo e mappe geografiche con cui poté avvalorare la veridicità delle sue scoperte.
Il materiale acquisito fece una grande impressione sugli esperti, tanto che Musil venne invitato a lavorare a Cambridge, Londra e Berlino. Altre sue spedizioni completarono i rilievi del castello, ma causarono anche consistenti ed irrimediabili danni per via dell'utilizzo di sostanze chimiche erosive durante la fase di “ripulitura” degli affreschi.
Musil partecipò, dopo un iniziale tentativo erroneo, alla giusta datazione del castello. Come altri siti simili, Qusayr Amra risale all’8º secolo d. C., quindi al tempo del califfato omayyade di al-Walid I. Le funzioni del castello del deserto, come altri di epoca dei califfi, erano sostanzialmente tre: una politica di punto d'incontro tra i rappresentanti delle federazioni beduine e i leader della dinastia del califfato; un'altra economica come luogo di amministrazione e gestione degli affari inerenti al commercio, al trasporto carovaniero, all'allevamento di cammelli, pecore e capre; infine l'ultima funzione fu quella domiciliare, di svago e vacanza dei membri della dinastia, residenti normalmente, durante l'inverno, a Damasco.
Alois Musil nel campo dell’antropologia
Il prete Alois Musil venne considerato come uno tra i migliori esperti d'Arabia agli inizi del 20º secolo. La sua avventurosa personalità gli consentì di eccellere in vari ambiti scientifici, per esempio, la cartografia, la storia biblica, l'archeologia e pure l'antropologia. Il fatto di essere in rapporto amichevole con una serie di tribù di beduini, gli permise di calcare luoghi altrimenti difficilmente accessibili. La sua maggiore scoperta, quella del castello di Qusayr 'Amra, avvenne durante un'incursione, un raid di rapina da parte della tribù beduina di Banu Sakhr. “Con la sua presenza, la barba nera ed il viso tagliente, Musil sembrava, se vestito da nomade, un beduino come tutti gli altri. Egli familiarizzò con loro, pensava, agiva come loro e amava loro come fratelli. … Una precisazione: sembrava che seduto sul dorso di un cammello con in mano un fucile si sentisse più se stesso che non di fronte ad un altare. Assieme ai beduini, egli partecipava in tutto alla loro vita quotidiana, incluse le incursioni, le vendette e le battaglie tra di loro, non trovando nulla di disdicevole, contrastante con il suo status di religioso.”

L’incontro con la civiltà del deserto era avvenuta sotto l’iniziale insegna dei suoi studi religiosi. Musil, come altri, credette che acquisendo nozioni sulla cultura beduina fosse possibile attraverso una proiezione retrospettiva ottenere qualche immagine circa la vita religiosa ai tempi della Bibbia. Il sacerdote giunse alla conclusione che tra tutte le tribù, quelle dei Ruwallah (eng.) avevano preservato meglio i loro usi e costumi. Egli percorse ampiamente negli anni 1908-1909 la parte interna dell'Arabia, stringendo una profonda amicizia con il principe Nuri ibn Sha 'lan, sebbene quest'ultimo lo avesse inizialmente accolto con diffidenza. Più tardi Musil venne eletto capo onorario della tribù Ruwallah e chiamato “Musa ar-Rweili”.

Uno degli obiettivi della spedizione consistette nella compilazione di un elenco di tutte le tribù locali, con la descrizione dei loro costumi, delle loro abitudini e pratiche religiose, della loro condizione sociale e giuridica. Un altro traguardo soprattutto delle successive spedizioni era di mappare il territorio dell'Impero ottomano e guadagnare le tribù alla cooperazione con la Turchia. Pure a tal scopo Musil indagò accuratamente il loro rapporto con l'islam. Egli constatò che “veri beduini conoscono poco o nulla dell'Islam”, e che, visto il loro totale disinteresse per la “jihad”, il governo turco non aveva da aspettarsi un rilevante aiuto da parte dei nomadi.
I risultati di mesi di osservazione antropologica della vita beduina, Musil li pubblicò nella sua monografia edita nel 1928 a New York The manners and customs of the Rwala bedouins. Essa riflette la società nomade come esisteva prima della Grande Guerra e contiene osservazioni sull'ambiente naturale, la struttura della società, la genealogia, abitazioni, alimentazione, equipaggiamento, abitudini, sistema giuridico ecc. Egli supportava le sue osservazioni sulla religione e lo stile di vita dei Ruwallah con esempi tratti dalla loro tradizione orale di racconti, preghiere, proverbi, poesie e canti. Un altro ambito delle ricerche dell'esploratore moravo era quello delle incursioni a scopo di rapine, razzie e saccheggi contro altre tribù o insediamenti permanenti nel, o ai margini del deserto. Lo stesso prete vi partecipò e documentò gli esiti letali di tali pratiche.

Il suo libro sui beduini è il più dettagliato resoconto sulla vita di allevatori di cammelli nell'Arabia settentrionale e rimane un documento unico e insostituibile circa quel periodo.
La missione nel cuore del Deserto Arabo
Lo scoppio della 1ª Guerra mondiale ha posto fine alle spedizioni scientifiche di Musil indirizzando le sue attività a dei compiti diplomatico-militari, a cui l’esploratore era votato. Proprio le sue conoscenze cartografiche, la familiarità con l’ambiente che lo circondava nonché i suoi rapporti amichevoli di lunga data con i beduini lo predestinarono al lavoro di emissario, specie nelle condizioni storiche instabili e pericolose risultanti dagli eventi bellici.
Il Vicino Oriente era, dal punto di vista militare, per la Germania, di allora, un nuovo palcoscenico. I tedeschi vi avevano pochi specialisti militari benché l’imperatore Guglielmo II avesse considerevolmente intensificato le relazioni con il sultano. Questo valse anche per i suoi alleati, gli Austro-Ungarici. A questo si aggiunse il fatto che fino ad allora pochi Europei avevano solcato il Deserto arabico. Ambedue gli imperi videro fiorire gli ambiti accademici degli studi orientalistici, soprattutto quelli filologici ed archeologici.
Questa circostanza spiega perché durante la 1ª Guerra mondiale il Medio Oriente vide competere nella veste di agenti segreti numerosi archeologi, filologi, storici e avventurieri che, prima del conflitto gareggiavano sul campo delle scoperte archeologiche e delle pubblicazioni. Alois Musil era uno di loro e si configurava come una specie di controparte a T. E. Lawrence e Gertrude Bell, con cui per altri versi condivideva molteplici interessi, qualità ed abilità.
All’inizio della guerra, l’ormai alto ufficiale dell’esercito austro-ungarico Alois Musil considerava ancora possibile allineare le tribù beduine ai disegni politico-strategici dell’Impero ottomano e convincerle che le potenze dell’Intesa (in primis Inghilterra e Francia) avrebbero inseguito soltanto scopi imperialistici. A tal fine andava eliminato un ostacolo: l’inestricabile labirinto delle faide intertribali delle più importanti confederazioni beduine dell’Arabia. Unificare e pacificare le differenti tribù risultava, dati i loro conflitti ancestrali pressoché impossibile.
I turchi a Costantinopoli erano d’altronde – come Musil ben presto poteva notare – del tutto ignari circa i complessi rapporti tra le tribù e la limitata validità delle loro testimonianze di lealtà. Il rapporto di Musil, scritto il 1 dicembre 1914, era l’ultimo a giudicare positivamente la condotta degli alti comandi turchi. Nelle lettere successive protestò che il governo turco aveva mandato nel Deserto arabico traditori che minacciavano la sua stessa vita e che fecero di tutto per fiaccare l’animo delle proprie truppe. Una delle operazioni controproducenti era per esempio la proscrizione da parte dei turchi del capo tribù degli Huwaytat (eng.), ‘Awda Abu Tayi (rappresentato nel film Lawrence d’Arabia da Anthony Quinn).
Musil era quindi ben consapevole che alcuni capi tribù stavano attuando un doppio gioco. Accanto a questo dato di fatto vi era un altro: il tentativo turco di ottenere maggiore appoggio presso le popolazioni attraverso l’evocazione dei comuni legami religiosi tra Turchi ed Arabi. La proclamazione dello “Jihad” turco" – ma soprattutto d’ispirazione germanica - seguì l’entrata in guerra dell’Impero ottomano e avrebbe dovuto mobilitare tutti i musulmani viventi.
Comunque, l’Islam si rivelò essere uno strumento di comunione meno efficace di quanto ci si poteva aspettare. Le tribù non vedevano – come Musil sospettò - alcun motivo di sacrificare le loro proprie dispute e discordie alla causa dell’unione nella fede: ”non vi è alcuna traccia di entusiasmo per la causa islamica”.
Detto quindi con chiarezza, Musil si trovava di fronte ad una situazione già “compromessa” sin dall’inizio a causa del massiccio e tempestivo intervento inglese. L’esploratore ceco disponeva a mala pena di una somma di 64.000 corone, una frazione infinitesimale di quello con cui l’Inghilterra comprava i vari capi arabi. Ciò malgrado intraprese la sua missione che aveva tre obiettivi: raggiungere un accordo di pace tra l’emiro an-Nuri dei Ruwallah e Saud bin Abdul Aziz Rashid (Ibn Rashid) degli al Rashid; di seguito pacificare le varie fazioni, tra loro nemiche degli al Rashid, di cui un filone si era rifugiato presso la dinastia degli al-Sa’ud (eng.); infine concludere la pace tra gli al Rashid e gli al-Sa’ud in modo che tutta la penisola arabica finisse sotto il controllo dell’Impero turco.
Già nel viaggio fino ad al-Jawf, dove risiedeva il principe Nawwaf, figlio dell’emiro an-Nuri, Musil era riuscito a portare dalla parte dei turchi alcune tribù minori. An-Nuri ed il principe misero Musil in guardia contro la pericolosità della missione. Nella casa degli Al-Rashid numerosi membri erano già stati assassinati e, sebbene Ibn-Rashid detenesse ufficialmente il potere, risultò dipendere, in quanto subnormale, completamente dal suo ministro Sa’ud ibn Subhan il cui maggiore interesse era tenere lontani dal potere quei membri degli Al-Rashid che avevano cercato protezione presso Ibn Sa’ud.
Musil riuscì a raggiungere il campo di Ibn Rashid – quest’ultimo si trovava allora non a Ha’il ma circa 250 km a sud-est della capitale provinciale – grazie ad una felice coincidenza. Un membro degli Sinjarah, un sottogruppo degli Shammar, era stato abbandonato dai suoi compagni nel deserto. Allo stremo per il lungo cammino e ammalato venne salvato dal sacerdote che in cambio ottenne la sua lealtà e protezione. Nazil – tale il nome del Sinjarah - accompagnò Musil ad al-Jawf ed insieme al compagno viennese, il fotografo Karl Waldheim, partirono per Ha’il il 14 gennaio 1915.
Dopo due settimane di cavalcate su cammelli sentirono degli spari. Seppero, incontrando un messaggero, che gli uomini di Ibn Rashid avrebbero combattuto e sconfitto quelli di Ibn Sa’ud. Centinaia di nemici sarebbero stati uccisi, inclusi alcuni “Inkliz” (Englishmen) – una prova della collaborazione di Ibn Sa’ud con gli infedeli. Questa battaglia del gennaio 1915 divenne nota sotto il nome di Battaglia di Jarrab (eng.).
Nazil informava successivamente Musil del fatto che Ibn Rashid non si era scontrato direttamente con Ibn Sa’ud, ma con quei membri della stessa sua dinastia che si erano rifugiati presso Ibn Sa’ud. Nello scontro vennero massacrati anche donne e bambini appartenenti alle famiglie dissidenti.
Il 3 febbraio 1915 Musil e compagni piantarono le loro tende in vicinanza del campo di Ibn Rashid. Nazil avvertì Musil di diffidare del principe e del suo ministro e di badare a non essere avvelenato. La descrizione di Sa’ud al-Subhan attraverso la penna di Musil colpisce per la sua crudezza: “Aveva all’incirca 25 anni, piccolo di statura, magro, di carnagione scura con labbra grosse ed un naso schiacciato. Egli sorrideva e proferiva dolci parole, ma il suo sguardo era feroce: sembrava sempre sul punto di saltarci addosso… . Mi accorsi presto che doveva nutrire un profondo odio per me. La mia presenza si scontrava con i suoi interessi. Sapeva che ero molto amico di an-Nuri e di suo figlio Nawwaf e che ero desideroso di fare la conoscenza di Ibn Sa’ud. Perciò dovette avere sufficienti motivi di temere che potessi vanificare i suoi piani. …”
Di fatto, Sa’ud al-Subhan aveva tentato di comprare Nazil ibn Thniyan affinché tradisse Alois Musil, ma senza successo. Il leale guerriero Sinjarah non esitava a riferire tutto all’agente austriaco.
Musil espose successivamente il motivo della sua missione, vale a dire quella di fungere da intermediario per un accordo di pace tra l’emiro an-Nuri dei Ruwallah e Ibn Sa’ud da una, e il principe Ibn Rashid dall’altra. Il ministro Sa’ud rispose subito con un diniego, giustificandolo con la proclamazione da parte del suo signore della jihad contro i due capitribù arabi colpevoli di essersi alleati con gli infedeli inglesi.
In un primo incontro diretto con il giovane principe le posizioni espresse dal suo ministro non cambiarono. Soltanto dopo che Musil aveva proferito alcuni doni, pistole e fucili di precisione, accompagnati da minacce neanche troppo velate di far muovere contro di lui sia i Ruwallah che i membri dissidenti degli al-Rashid, il giovane principe – adolescente di 17 anni, alto, emaciato, languido con occhi spenti – acconsentì attraverso il suo ministro di firmare la pace con i Ruwallah, rifiutando invece la pacificazione con Ibn Sa’ud con la scusa di un presunto divieto espresso in tal senso dal ministro di guerra turco Enver Pasha. Anche la confutazione di questo dato da parte di Musil precisando che vi erano state ben quattro delegazioni di Enver Pasha a chiedere la pace con Ibn Sa’ud non ebbe successo. Il ministro di Ibn Rashid rimase fermo.
A Musil ed ai suoi accompagnatori non restò altro che annunciare alla controparte un loro viaggio a al’Ula per chiedere dei nuovi ordini da parte di Enver Pasha. A conoscenza del fatto che l’eminenza grigia del giovane principe si era espresso davanti ai propri uomini circa il desiderio di veder morire “accidentalmente” l’emissario straniero, la comitiva partiva presto per raggiungere i Sinjarah. Là Musil riusciva a convincere questa tribù di abbandonare, assieme ad altri Shammar, Ibn Rashid, poiché temeva realisticamente che l’accordo di pace firmato dal ministro Sa’ud Ibn Subhan fosse di scarso valore.
Ciò nonostante Musil poteva avere allora la sensazione che la sua missione fosse stata un successo. In tal senso si esprimeva anche in un dispaccio mandato da al-Ula al suo console a Damasco: la firma incondizionata della pace tra Ibn Rashid e l’emiro an-Nuri avrebbe messo a disposizione del governo ottomano ben 30000 uomini in armi. Tuttavia - ammoniva Musil – la situazione avrebbe potuto cambiare ben presto, qualora i Turchi avessero trattato con sufficienza le tribù arabe alleate.
Giungendo ad al-Ula il sacerdote avventuriero si era aspettato di trovare ordini da parte del governo turco. Invece incontrava profonda irritazione circa la sua attività. Il ministro degli Interni – esponente dei Giovani Turchi e uno dei tre responsabili del genocidio armeno – Talat Bey criticò l’operato di Musil: egli avrebbe sfiduciato le tribù arabe alleate dopo che queste avevano scoperto che l’emissario dell’impero era in realtà un cristiano. La sua accusa nei confronti di Musil di aver vantato il successo riguardo alla firma di pace tra Ibn Rashid e Ibn Sa’ud, era infondata in quanto l’archeologo austro-ceco non si era mai espresso in tal senso nelle lettere inviate ai suoi superiori.
Giunto a Bagdad Musil precisò in un lungo rapporto di esser riuscito a costruire la base per una futura pace tra Ibn Rashid ed i Wahabiti avendo creato un potente partito contro il ministro di Ibn Rashid, Sa’ud ibn Subhan. Questa coalizione avrebbe costretto Ibn Rashid di esautorare il suo ministro. Inoltre tentò di convincere il governo del fatto che Ibn Sa’ud era in realtà contro gli inglesi. La circostanza che Ibn Rashid avesse mosso le sue truppe con armi fornite dagli stessi turchi contro Ibn Sa’ud, non doveva certo aiutare gli sforzi di pacificazione. Musil si convinse nel dispaccio di Bagdad che il ministro corrotto di Ibn Rashid sarebbe stato pagato con l’oro degli inglesi e che gli infedeli caduti durante la battaglia di Jarrab sarebbero non inglesi ma mercenari olandesi. A torto, poiché a cadere nella battaglia era in realtà il capitano della Indian Army, William (Henry Irvine) Shakespear (eng.), agente britannico e, in questo caso sì, “consulente” di Ibn Sa’ud. Anche l’ultima previsione dell’emissario asburgico dovette rivelarsi soltanto un pio desiderio: “Il suolo tra Aleppo ed il 25º di latitudine, così come la Palestina-Siria e Mesopotamia sono salvi”.
É ampiamente noto che Inghilterra e Francia tentarono di indebolire l’Impero turco provocando e finanziando la Rivolta araba. Anche il governo britannico mandava nella penisola arabica orientalisti come T.E. Lawrence e Gertrude Bell, personaggi che vantavano simili esperienze di Musil in Arabia. Anche loro erano amici di sheiki ed esponenti di tribù ai quali potevano chiedere informazioni ed appoggi.
L’esito della così detta “rivolta araba” è ben noto. Lo Sharif Hussain della regione dell’Hegaz ed altre tribù arabe combatterono a fianco degli inglesi l’Impero ottomano, che capitolò e si disintegrò alla fine della guerra. Ciò malgrado il promesso “regno arabo unificato” non vide mai la luce. Alla faccia dei mandati di Francia ed Inghilterra, il vero vincitore di questa guerra sulla penisola arabica fu Ibn Sa’ud, l’unico a non aver partecipato alla rivolta. Egli conquistò territorio dopo territorio fino a quando, nel 1932, poté unificare i due regni, quello del Najd e dell’Hegiaz.
Essendo, come lo vide giustamente Churchill, “la storia scritta dai vincitori”, le certamente poche iniziative delle potenze centrali nella regione riscossero meno attenzione che le attività britanniche coronate da successi. Comparate alle missioni francesi ed inglesi ben organizzate e finanziate su larga scala, quelle tedesche e austriache di Musil, von Oppenheim e Leo Frobenius disposero di una frazione di denaro ed armi di quanto potevano vantare le forze dell’Intesa, ed erano in virtù di questa carenza votate al fallimento. La disastrosa conduzione della guerra da parte degli inesperti alti ufficiali turchi a cui venivano concessi grandi incarichi aumentava soltanto la misura della disfatta.
In più fu la burocrazia a contribuire non poco al fallimento della missione nel nord della penisola arabica. Austriaci e Tedeschi concordavano nel dividersi le spese delle loro iniziative nello scenario mediorientale, ma benché fossero alleati, insorgevano numerosi conflitti e frizioni amministrative. L’Austria accolse inoltre con comprensione e simpatia le paure turche di divenire, nel caso di una vittoria delle potenze centrali, una colonia tedesca.
Quando Musil giunse, dopo il viaggio nel Deserto arabico, a Bagdad cadde suo malgrado vittima del clima di sospetto e sfiducia che regnava tra gli emissari tedeschi e gli alti ufficiali turchi: nel primo momento il governatore militare turco di Bagdad si rifiutava di accoglierlo, pensando che si trattasse di un prussiano. Soltanto quando venne informato che si trattava di un emissario austro-ungarico, Musil trovò un’accoglienza più che calorosa.
Il dopoguerra
Non è chiaro se Alois Musil abbia effettivamente ritenuto che il successo della sua mediazione fosse di lunga durata. Egli conobbe troppo profondamente la storia delle tribù e delle loro relazioni intertribali per condividere in cuor suo il giudizio espresso nei documenti ufficiali. Si trattava quindi se mai di un pio desiderio espresso da un convinto sostenitore dell’Impero austro-ungarico con la sua tradizione multietnica – propria anche dell’Impero ottomano a differenza di quello germanico - che aveva permesso allo stesso sacerdote di potersi sentire sia austriaco che ceco. Egli temeva che la caduta della Porta d’Oro e l’insorgere dei nazionalismi arabi e turchi potesse minacciare l’esistenza stessa dell’Impero asburgico. Prima della secessione dell’Ungheria dall’Austria nel 1918, Musil lavorò incessantemente affinché ciò non avvenisse.
Gli imperi centrali invece collassarono e Alois Musil cominciò a dedicare il suo tempo alla pubblicazione dei suoi diari di viaggio e del suo materiale cartografico. Quando un decreto ministeriale dell’appena nata Austria notificava che soltanto i cittadini austriaci di etnia germanica erano abilitati ad accedere alla pubblica funzione, fu un fulmine a ciel sereno per Musil. In quanto ormai cittadino ceco dovette lasciare il suo lavoro all’Accademia delle Scienze di Vienna. Profondamente offeso, ritirò tutti i suoi scritti pur essendo consapevole che un tale gesto avrebbe significato che le sue ricerche non sarebbero state più pubblicate per molto tempo in lingua tedesca. In ceco non avrebbe potuto raggiungere un uditorio altrettanto qualificato. Anche quando i suoi amici avevano ottenuto un’eccezione alla regola, Musil declinò e se ne andò in Cecoslovacchia dove i nazionalisti cechi avevano ottenuto la maggioranza. Essi diffidavano del famoso archeologo ed esploratore a causa dei suoi stretti legami con la Casa degli Asburgo.
La 1ª Guerra mondiale era divenuta quindi un vero e proprio giro di boa per l’austro-ceco. Ciò che rimase era il suo interesse per l’Arabia ed i legami con i suoi vecchi amici. L’emiro an-Nuri venne a trovarlo nella sua villa di Rychtarov da dove continuò a dare commenti sul Medio Oriente la cui situazione si rivelò – come Musil temette – essere disastrosa. Inoltre fu collaboratore di varie testate locali su temi geopolitici come anche su giardinaggio ed agricoltura.
Fu infine la sua amicizia con il milionario Charles R. Crane (eng.) l’occasione per la pubblicazione dei suoi scritti negli Stati Uniti d’America. Sempre là scrisse il brillante saggio “Religion and Politics in Arabia” che testimonia il persistente interesse per lo scenario mediorientale. Il suo commento finale non ha perso la sua validità:
“Nella storia dell’Arabia molti imperi sono stati creati da leader religiosi, ma nemmeno uno di questi “imperi” sopravvisse al movimento religioso che diede loro i natali. In ogni caso la lotta (jihad) era essenziale per il mantenimento dell’unità di uno stato messo insieme da tanti elementi eterogenei. Il raggiungimento della pace e dell’ordine significava sempre già l’inizio del loro dissolvimento.”
La missione diplomatica voluta da austriaci e tedeschi cadde - a differenza delle esperienze di Thomas Edward Lawrence che l'agente inglese trasformava discutibilmente in epopea - ben presto nell’oblio assieme alla sconfitta degli imperi centrali. Ad Alois Musil non venivano tributate nemmeno gli onori letterari come a suo cugino di secondo grado, Robert Musil. Quel che rimase al nostro sacerdote beduino era – grazie anche all’iniziativa editoriale dell’amico Crane – la fama di archeologo e antropologo. La sua importanza per l’archeologia islamica non sta soltanto nella scoperta dei castelli desertici degli Omayyadi nel deserto di al-Badia, ma soprattutto nella sua documentazione di alta qualità considerando il livello scientifico di allora e le circostanze spesso avventurose in cui si svolsero le spedizioni.
Alois Musil, divenuto nel 1934 professore di Arabistica all’Università di Praga, mori il 12 aprile 1944.