Il rigoroso pensiero di Emanuele Severino si divincola fin dai suoi primi passi in modo camaleontico: contemporaneamente statico e dinamico si accinge, da un lato, a ripercorre l’intera storia della filosofia occidentale, dall’altro, si preoccupa di restare saldamente ancorato a quel principio originario di verità enunciato dai versi parmenidei del poema sulla Natura, proprio lì dove la filosofia ha inizio.
Apparentemente Severino non muove un solo passo dal frammento II del poema:
“Che è e che è impossibile che non sia [...];
che non-è e che è necessario che non sia”
Emanuele crede ciecamente in questa verità millenaria, anzi, ancor di più, crede che quest’ultima sia l’unica verità possibile. L’unica verità credibile perché capace, fin dalla sua posizione ed enunciazione, di resistere ad ogni sorta di obiezione e tentativo di confutazione.
Quali sono i risvolti di questa verità, cosa scaturisce dai versi di Parmenide?
L’essere è, e non può non-essere = l’essere è eternamente.
Il non-essere non è, e non può essere = il nulla non è mai e non sarà mai.
Emanuele ci invita a fare i conti fino in fondo con questa rivelazione, la più antica, sottolineando con forza come il tradimento e l’erronea interpretazione di questi versi abbia condannato l’uomo occidentale al più crudele degli inganni: la fede nel nulla, l'inganno del nichilismo. Nella forza delle parole severiniane riecheggia quindi la potenza del messaggio parmenideo, spogliato da ogni contaminazione e tradimento subito nell’arco della storia della metafisica occidentale.
La cattiva interpretazione di questi versi, cominciata fin dai tempi del parricidio platonico con la conseguente introduzione del non-essere relativo, ha fatto sì che essere e non-essere venissero ipostatizzati e cristallizzati come due entità contemporaneamente esistenti e contrapposte, le quali, schierate sul medesimo campo d'azione non possono fare altro che scontrarsi in una perpetua resa dei conti.
La fede nel nulla - ovvero la fiducia nel fatto che il nulla sia un'entità al pari dell'essere, dimenticando che per definizione 'il nulla non è mai' - ha consegnando il pensiero degli uomini alla cieca fiducia nel divenire concepito come passaggio tra due entità contemporaneamente sussistenti (dall'essere al non-essere nel momento dell'annientamento; dal non-essere all'essere nel momento della creazione).
Credere che essere e nulla siano due entità in contrasto è il primo errore nella storia del pensiero dell’uomo. Questo prima credenza - la fede nell'esistenza del nulla - condusse l'uomo a una seconda persuasione: credere che il divenire sia passaggio dal non-essere all’essere (nascita) e dall’essere al non-essere (morte). Severino esemplifica e ribadisce, ritornando a Parmenide, che invece non c’è alcuna possibilità di contatto tra queste due parti: tra essere e non-essere, tra essere e nulla.
Non c’è diatriba, non c’è lotta, c’è sostanzialmente soltanto l’essere. Mai il nulla.
Il movimento severiniano diviene così nietzscheano, non nella forma (il primo usa argomentazioni logiche, il secondo aforismi) e nemmeno ne nei contenuti (il primo chiude le porte al nichilismo, il secondo le apre), in quanto forza dinamitica capace di demolire e scardinare quella fede nel nulla e nel nichilismo che ha destinato l'uomo ad errare sulla terra. Errare perché da sempre ha concepito erroneamente la propria condizione di finitezza; errare perché dall'alba dei tempi, sospeso a un filo sopra l'oblio del nulla, non ha potuto fare altro che vagare nel mondo cercando quella verità che da sempre gli è appartenuta ma che da sempre ha dimenticato.
Quale spazio per il nulla se esso non è mai? Nessuno. Quale spazio all’essere se esso è eternamente? Tutto. Severino rivelando la fede nichilista del nostro mondo come interpretazione erronea del messaggio di verità che da sempre ci appartiene conduce a una considerazione difficile da assecondare:
Ogni ente è eterno. Ogni essente in quanto è, è eternamente.
Ogni ente, ogni entità in quanto non è niente (ni-ente = non ente) è, e non può che essere. Ieri, oggi, domani, per sempre. Nessuno spazio viene concesso al divenire, se esso viene interrogato come movimentata essere e nulla.
La forza di questa verità è chiamata a fare i conti con la più grande paura dell’uomo, quella della morte. Potremo chiedere allora a Severino:
“Come puoi parlarci di eternità se ogni giorno vediamo morire i nostri simili?
Come puoi farlo se costantemente vediamo e viviamo l’assenza delle persone che abbiamo amato e che abbiamo perso?
Come puoi negare il nulla, come puoi negare l’assenza, come puoi negare la morte?”
È curioso, e decisivo, prendere atto del fatto che l’eternità qui proposta non è semplicisticamente il prolungamento spazio-temporale di ciò che consideriamo ‘vivente’ - di ciò che concepiamo in modo troppo banale come sussistente. L’eternità non è in alcun modo la mera sussistenza prolungata ad infinitum. Emanuele ci insegna che eternità e morte convivono, sono coesistenti. In nessun modo affermare l’eternità dell’essere - e di ogni essente - toglie di mezzo la morte. Il perire umano sulla terra non è il passaggio dall’essere al nulla, non è la distruzione dolorosa che apre le porte alla nullificazione dell’oblio, bensì è entrata o uscita dal cerchio dell’apparire.
L’intera storia della metafisica, dell’ontologia, e del pensiero di noi uomini occidentali è la storia di un fraintendimento, è il prodotto della fiducia smisurata nel divenire, della fede totale e totalizzante nel nulla. È nichilismo.
È cieca speranza nel nulla e in ciò che a lui si contrappone, ciò che al nulla può porre un rimedio: Dio. Tolto di mezzo il nulla, cade a terra anche Dio.
L’affermazione dell’eternità di ogni essente non lascia spazio a nessun rimando salvifico: non c’è alcun essente che ha bisogno di essere salvato, non c’è nulla da salvare. Non c'è bisogno di salvezza.
L’uomo è un angelo, che caduto sulla terra, ha dimenticato di essere Dio. Questa verità rivela l’eternità che siamo, rivela ciò a cui siamo destinati. Chiarisce il nostro destino.
Ci chiediamo allora per un ultima volta:
"La prospettiva di Severino riesce davvero a togliere di mezzo la morte?"
No, non vuole farlo. L’affermazione dell’eternità di ogni essente rivela che la morte non è in alcun modo tetro annichilimento… se la morte fosse il sordo passaggio dall’essere al nulla, come potremmo ricordare chi non-è più?
Andrea Fiore