Da pagina 19 a 61. 42 pagine di perfezione. In questo racconto c’è tutto. Un omicidio, un’indagine degna di grandi investigatori, sagacia, deduzione, spirito d’osservazione, denuncia sociale, irrisione, ira, solidarietà femminile, introspezione, solitudine e sì, anche una sottile ironia dovuta al fatto che proprio chi irride e sminuisce, viene da noi lettori irriso e sminuito. Tutto questo in 42 pagine! Il racconto ruota attorno a pochi personaggi di cui sappiamo poco ma che ci sembra di conoscere con le loro virtù e debolezze. Mi stupisce come questo breve racconto scritto nel 1913 abbia una potenza evocativa di un’epoca che sembra lontanissima. Un’epoca in cui le donne erano giudicate solo per come badavano alla casa. Come ricorda la prefazione della Giménez Bartlett, negli anni in cui è stato scritto si affacciavano i primi timidi tentativi di emancipazione femminile con le suffragette, eppure questo racconto ha una potenza rivoluzionaria. Ma non si deve vedere questo racconto solo come una storia d’altri tempi, perché nonostante sia passato più di un secolo, questo romanzo è attualissimo nelle dinamiche familiari e personali. Nella pazienza, e rassegnazione delle anime buone, che quando vengono private di tutto si aggrappano a delle piccole cose a cui affidano tutta la loro felicità. Sono proprio piccole cose che scatenano il cambiamento con il punto di rottura.
Mi ha colpito molto anche la forma narrativa in cui tutto viene suggerito, mostrato come fossero inquadrature fotogrammi di dettagli senza tuttavia palesare mai una conclusione. Come se l’ovvio non avesse motivo di essere detto.
L’ultima considerazione che volevo esprimere è che in queste poche pagine si mette in discussione anche il concetto di giustizia e vendetta, di bene e male. Un concetto profondo che, come per tutti gli indizi del libro, viene solo suggerito invitando il lettore a fare le sue considerazioni a posteriori, una volta sfogliata l’ultima pagina.