Spaziocidio, di Eyal Weizman

Israele e l'architettura come strumento di controllo

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Andras
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Ultimo aggiornamento: 18/03/2025
Queste parole, tratte dal sommario del risvolto di copertina, chiariscono già il punto focale del tema trattato dal professore di architettura, nativo di Haifa, ma cattedratico a Londra ed in altre università del mondo, Eyal Weizman: la guerra, la colonizzazione, la ghettizzazione ed il tentativo di espulsione perpetrato da Israele per lo meno a partire dal 1967 nei confronti della popolazione indigena palestinese passava e passa tutt’ora attraverso una serie di strategie – quella delle bombe, delle uccisioni, missili e bulldozer è quella mediaticamente più appariscente – di tecniche e saperi molto meno spettacolari, ma altrettanto brutali e perspicaci: la violenta appropriazione da parte dello stato della stella di Davide del terreno vitale della popolazione palestinese in Cisgiordania, e in Gaza, lo svuotarsi, lo scavo del territorio (da qui il titolo originale Hollow Land) sotto i piedi di chi abita questa terra da secoli si sviluppava con mezzi e strategie inizialmente sperimentate in ambito prettamente militare per essere supportato di seguito nei think tank delle forze armate da conoscenze scientifiche le più varie che investono persino ambiti filosofici. Un gruppo di coloni pensa di aver individuato un importante sito archeologico veterotestamentario, si procede alla sua occupazione; i quartieri ebraici “svuotati” dai palestinesi dopo il 1967 a Gerusalemme devono distinguersi – in una sorta di architettura dell’apartheid – per il loro stile “orientaleggiante” dalle abitazioni arabe; le migliaia di permessi edilizi concessi ai quartieri ebraici e negati a quelli arabi hanno lo scopo di un vero e proprio strangolamento demografico; l’ingegneria idraulica impiegata a chiudere i pozzi superficiali ai contadini palestinesi per aprire quelli in profondità ai coloni ebrei; infine il proliferare “più o meno” selvaggio degli insediamenti con la tentacolare copertura di strade ed infrastrutture riservate – mediante le varie sezioni del muro - agli israeliani. Queste e altrettante “innovazioni” in ambito architettonico e urbanistico uccidono in modo caotico – le varie “iniziative” si susseguono e si sovrappongono senza un piano lineare, ma alla fine con uno scopo ben definito e solo saltuariamente esplicitato – lo spazio vitale degli arabi e hanno l’intento di atomizzare il territorio occupato al fine di rendere un futuro stato palestinese una pura velleità. Weizman dimostra a quale livello di controllo e repressione si è giunto con l’uso di strategie e tecnologie sempre più invasive, sul territorio, nello spazio aereo soprastante e nelle profondità del suolo palestinese.
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Andras

Lo storico israeliano Ilan Pappé chiedeva con forza nella prefazione del suo 10 miti su Israele all’immaginaria platea dei suoi colleghi di non disgiungere a causa di un malinteso pregiudizio deontologico il proprio mestiere di studiosi da un attivo impegno politico, sociale e culturale.
Ebbene tale raccomandazione non riguarda certamente Eyal Weizman. Il suo Spaziocidio ha ben poco di un trattato di architettura, è un libro impegnato atto a denunciare i crimini contro l’umanità perpetrati attraverso l’arma “bianca” dei progetti architettonici, urbanistici ed ambientali. Esso contrappone a questi ultimi altrettanto sofisticati strumenti di indagine e di investigazione, il più delle volte ideati ex novo. La ricerca si dispiega con l’aiuto di fonti più svariate e contatti personali di primissimo livello come un racconto della gente di Palestina ed entra, malgrado l’alto livello scientifico, nei loro cortili, nelle loro case sventrate, nelle loro vite violentate toccando con mano la loro sofferenza e disperazione.
Il professore di architettura israeliano, naturalizzato britannico, legava, come detto innanzi, fin dai suoi esordi di cattedra la sua ricerca all’impegno etico-morale e professionale per smascherare e infine denunciare pratiche di separazione, apartheid, segregazione e genocidio. Egli fondò a tal fine assieme a Alessandro Petti e Sandi Hilal a Beit Sahour (città gemellata con Mira) in Cisgiordania il collettivo DAAR, Decolonizing Architecture Art Research, aperto ad artisti, architetti, curatori e produttori culturali interessati a porre e concepire il proprio operato entro contesti teorici, storici, politici e sociali più ampi rispetto alla deontologia accademica (www.decolonizing.ps.). In questo ambito Sandi Hilal e Alessandro Petti hanno vinto il Leone d’oro per l’architettura nel 2023. Weizman aprì un’ulteriore fronte di impegno civile con il collettivo Forensic Architecture (forensic-architecture.org) nel 2010 mettendo in rete le competenze di architetti, giuristi, ingegneri, informatici, anatomopatologi ed esperti delle più svariate branche scientifiche allo scopo di raccogliere e analizzare elementi probatori di natura architettonica su crimini di guerra, violenze di stato o aziende e soggetti privati.

copertina Spaziocidio

Spaziocidio

Weizman, Eyal
In Palestina il paesaggio e l'ambiente costruito non sono allegorie, rappresentazioni o forme visive delle relazioni di potere, ma il mezzo stesso del potere costituito. L'ambiente non è solo il luogo dove la guerra si svolge, ne è il vero e proprio strumento. Eya...
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