Lo ammetto sono stata attratta dalla copertina del libro: il dettaglio di un quadro di Hopper, artista che adoro.
Ordine, mistero, il tempo sospeso in un'eterna attesa. I colori vividi, assoluti. I neri intensi dei notturni esaltano la luce degli interni dei locali, mentre gli esterni sono sospesi in una luce fredda, bianca e pura. Le persone ritratte aspettano qualcosa o qualcuno nella loro immobilità. Come i lettori di questo libro attendono pagina dopo pagina, un fatto, un aneddoto raccontato, un segreto che traspare senza emozione, quasi in sordina. Questo non è un libro su Hopper, non vi racconterà la sua vita ma l'essenza del suo essere. La posatezza, il distacco con cui il suo sguardo di artista si posava sugli oggetti.
Nella narrazione di Aldo Nove, questo senso di assoluto si scontra con la realtà concreta, ruvida e schietta dello scrittore Raymond Carver di quel sogno americano infranto o quantomeno accantonato "non tutti ce la fanno, ma tutti possono provarci". L'incontro immaginario tra Hopper e Carver è un silenzioso scontro di realtà differenti. Due lati della stessa moneta: l'America.
La visione di Carver è l'America dei boschi, delle segherie dove lavorare tutta la vita rincorrendo un sogno, delle giornate dure. La dualità proposta da Nove racchiude quella della società americana con i suoi Hopper e i suoi Carver.
Una dualità marcata che riporta alla memoria le periferie del "Grande Gatsby" o, spostando la data in avanti, le canzoni di Springsteen, che a distanza di tempo cantano la stessa diversità.