Quando si è alle prese con un dado arrugginito, la prima impressione è che non verrà mai via. Chissà da quanto tempo è lì e come fa a reggere, in quale momento ha iniziato a diventare tutto rosso e quando poi si è ridotto in quello stato. Quando poi si sblocca, mentre gira cade una polvere rossa accompagnata da uno stridio fastidioso, con la sensazione che la filettatura ormai fragile si sbricioli attorno alla vite. La ruggine è il segno visibile e tangibile dell'umanità che se ne va. Quando le gente smette di lavorare, lei comincia. Agisce implacabile, scava, soffoca, sporca, aiutata dal tempo e dalla pioggia, e accompagnata dalla natura che ha di nuovo il sopravvento come sempre accade non appena ne ha l'occasione, con le radici delle piante che sbucano da qualsiasi fazzoletto di terra, come se le costruzioni dell'uomo fossero solo un impiastro da sopportare, con un occhio l'orologio in attesa che vengano abbandonate. La ruggine non ha fretta, ma è rapida. Quando si fatica a distinguere il colore originale, è troppo tardi. Avvolge le ruspe abbandonate sui prati, le bielle invendute già accatastate e pronte per il trasporto, gli scheletri delle immense fabbriche dismesse o in parte smantellate. E dopo essersi diffusa sulle cose inanimate, sembra trasferirsi e insinuarsi anche nelle persone, intaccandole e corrodendole nel profondo. A cominciare dai due protagonisti, amici diversissimi tra loro, entrambi dotati di potenzialità per emergere, uno nello sport e l'altro negli studi, ma che rimangono al palo, esempi dell'imbruttimento di una società fondata su un benessere effimero che si credeva perpetuo e impantanati nei luoghi natii, forse destinati a replicare la vita degli adulti che hanno visto invecchiare di colpo all'arrivo della crisi economica che, come la ruggine, si è manifestata pian piano, per poi accelerare e avvolgere tutto.
Consiglio la lettura di questo romanzo per la potenza delle continue e forti contrapposizioni che ne caratterizzano la narrazione, suddivisa in capitoli che alternano le vicende e soprattutto il punto di vista dei personaggi principali. Lunghi monologhi interiori, chiari, lucidi si scontrano con dialoghi inconcludenti fatti più di silenzi che di parole. La fotografia delle industrie diroccate contrasta con la bellezza che una natura fatta di ampi spazi, grandi fiumi, praterie e montagne imponenti sa regalare e di fronte alla quale gli stessi protagonisti del romanzo rimangono sovente incantati. Le relazioni affettive tra persone che pur si vogliono bene paiono sempre sul punto di slegarsi, allontanandole definitivamente, rischiando di infondere l'errata convinzione di poter contare solo su se stessi. Allo stesso modo di come, all'arrivo della crisi, una società fortemente individualista non è stata in grado di assorbire il colpo, lasciando che le strutture sociali collassassero e che ognuno cercasse di sopravvivere con le sue forze. Ma lo spirito di sacrificio che i personaggi mostrano nei confronti dei loro cari è forte, anche e soprattutto quando non c'è nessuno a guardare. Forse all'esplosione può seguire un'implosione, in cui tutto si concentra in un punto da cui ognuno a modo suo può ricominciare.