9 giugno 1956, periferia di Buenos Aires. Una dozzina di uomini che si erano incontrati, alcuni per caso, altri intenzionalmente, per seguire un incontro di pugilato tra il campione argentino del momento e lo sfidante cileno vengono arrestati, brutalmente picchiati e portati, sequestrando un autobus di linea, al più vicino commissariato di polizia. La maggior parte dei sequestrati è completamente ignara del perché le forze dell’ordine li abbiano portati via, mentre alcuni, pochi, temono di saperlo.
10 giugno 1956, periferia di Buenos Aires. 5 uomini crivellati di proiettili, alcuni con il segno del colpo di grazia giacciono esanimi nella discarica di Juan Lopez Suarez. Non si sa cosa abbiano commesso per meritare questa fine. Si sa invece che qualcuno si è salvato. Uno, fucilato - vivo.
Rodolfo Walsh, fino ad allora scrittore noir, curatore di antologie di racconti polizieschi e giornalista culturale parte da questa voce che gira per inoltrarsi piano piano in un intrigo di portata nazionale che si infittisce sempre di più, diventa sempre più pericoloso – l’indagine durata 1 anno e mezzo l’ha dovuta condurre sotto falso nome, da latitante – e lascerà un suo strascico sanguinoso addirittura nell’Argentina degli anni ’70. Il racconto inizia con una notizia diaristica dell’autore e si allarga - con perfetto stile noir, asciutto, tipicamente argentino – ad un’investigazione poliziesca per poi mutare nella più scottante indagine giornalistica. Lo scrittore argentino prende spunto dalle biografie delle vittime – le Persone - con il calore e l’empatia tipica di chi tratta una questione privata, l’inquadramento storico si trova inizialmente relegato all’insignificanza. Soltanto quando le vite, finora separate, precipitano nel destino comune di un’incubo che dura appena 6-7 ore – i Fatti - , le nebbie, le incertezze che coprivano il perché di questi destini cominciano a diradarsi. Ma non ne segue un resoconto storico degli avvenimenti – Walsh inizia la sua indagine quasi il giorno e un mese dopo l’accaduto – ma si tratta di un’investigazione sul filo delle ore, di un’arringa dibattimentale che – ben oltre le prodezze di un Perry Mason – è corroborata da prove giudiziarie tanto dettagliate quanto esplosive e finisce in un’ appassionato
J’accuse – proprio come quello di Émile Zola nel caso Dreyfus – contro le istituzioni politiche, militari e giuridiche.
Operazione massacro è più di un giallo e più che un racconto giornalistico. È il primo nobile esempio - ben otto anni prima di
A sangue freddo di Truman Capote - del racconto fiction-non fiction, del giornalismo narrativo, dell’inchiesta letteraria , è un’opera investigativa che mutua sì dal noir la struttura e il montaggio, ma che compie, rispetto all’opera del suo emulo americano, un’ulteriore evoluzione: Walsh non è interessato al crimine come tale, ma al crimine di tipo politico, al nesso tra violenza e potere. Perciò egli non è il freddo e spregiudicato spettatore, l’impassibile registratore dei fatti, ma l’avvocato del popolo violentato, tribuno dei diritti civili in un mondo dominato dai militari. Proprio dalle pagine di questo libro inizia l’impegno civile di Rodolfo Walsh, impegno che lo porterà purtroppo ad un destino “fraterno” con le vittime del 1956.
Operazione massacro è – come disse a sua memoria un amico e come dimostra la
Lettera aperta di uno scrittore alla giunta militare (1977) allegata – anche e soltanto il prologo di un’altra tragedia che verrà dopo.