La strada verso est, di Philippe Sands

Hersch Lauterpacht e Raphael Lemkin, due pionieri dei diritti civili

Creato da:
Andras
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Ultimo aggiornamento: 30/01/2024

Può l’invito ad una conferenza da parte di un’università dell’Europa orientale nei confronti di un’illustre esperto di diritto internazionale britannico partorire un libro che "sforna" allo stesso tempo mezzo secolo di storie personali, di paesi e di territori, di minoranze e di scienza giuridica? Nel caso de La strada verso Est di Phillipe Sands sembra proprio di sì! L’insigne avvocato, che ha ricoperto varie cattedre universitarie da Cambridge all’Università di Melbourne, di Indiana, alla Harvard Law School ed infine al King’s College di Londra, che ha esercitato l’avvocatura nei vari gremii delle corti internazionali, “inciampa”, per così dire, in un invito dell’Università ucraina di Lwiw (Lemberg o Leopoli) e con esso nel suo passato personale e professionale. Inizia così un viaggio a ritroso, fatto di ricerche d’archivio, di interviste a testimoni oculari, di sopralluoghi di persona, dalla Galizia, attraverso la Polonia, la Lituania fino alla Francia, all’Inghilterra e agli Stati Uniti d’America.
La città Leopoli ed i suoi dintorni risultano esser stati culla ed il fulcro per il primo lustro di vita, non soltanto di un antenato suo, il nonno materno Leon Buchholz, ma pure di due studiosi fondamentali per l’ambito dei diritti civili, del diritto internazionale in particolare, e per essere ancor più preciso quello penale. Il primo, Hersch Lauterpacht, cattedratico a Cambridge, consulente per il Foreign Office, persona tanto integrata nell’establishment britannico quanto austero emozionalmente, elaborò il concetto di crimini contro l’umanità così come appare ancora oggi. Raphael Lemkin, l’altro giurisperito ed avvocato, ebreo pure lui, ma come carattere diametralmente opposto al collega, lavorò per quasi tutta la sua vita, prima in Polonia e poi negli Stati Uniti, sul problema delle discriminazioni e persecuzioni delle minoranze e arricchì il diritto internazionale del concetto e della fattispecie penale del genocidio.
Apparve chiaro all’autore che gli avvenimenti della Galizia post-imperiale – dopo la partenza dell’esercito austro-ungarico nel 1918 città e territorio di Leopoli conobbero guerre civili, pogrom di ebrei, reiterati cambi di governo, stati ed ideologie con fiumi di sangue che scorrevano e migliaia di migliaia di morti - abbiano impresso sulle coscienze dei protagonisti indelebilmente il loro marchio. Da qui gli interrogativi che gli studiosi ebrei si posero circa il diritto e la protezione dell’individuo nei confronti degli stati – per inciso il nonno di Sands era, per sua disgrazia e fortuna, apolide – da una parte, e le protezioni ed i diritti delle minoranze etniche, religiose e culturali in Polonia, in Unione Sovietica e, infine, soprattutto nel Terzo Reich, dall’altra.
Lo sterminio del popolo ebreo europeo durante la seconda guerra mondiale impattò in modo brutale sul territorio dell’odierna Ucraina occidentale. La stragrande maggioranza dei crimini perpetrati dalle Sondereinsatzgruppen, di quelli inflitti nei Lager e Nebenlager di Treblinka, Majdanek, Sobibor e Belzec, si svolse là, nel Governatorato Generale per le aree occupate della Polonia, regno di Hans Frank, Obergruppenführer e consulente legale personale di Hitler. Come tale, gettò la sua ombra esiziale anche sull’antica Leopoli (e l’intera Galizia), terra natìa dei nostri Leon, Hersch e Raphael. Sands descrive l'ex ministro della giustizia nazista come dedito soprattutto alla sua carriera giuridica e politica - come macellaio di Cracovia -  ma, grazia alla testimonianza di suo figlio, anche come padre assente di una famiglia numerosa, come marito terrorizzato da una moglie dal troppo forte carattere, ed, alla fine, a suggello della sua storia criminale e vita, quale imputato al Processo di Norimberga, dove, in modo diretto o indiretto, si uniscono i tutti i fili degli sforzi, delle preoccupazioni, dei successi ed insuccessi dei due studiosi di diritto di Lemberg.

E cosa ne è dell’antenato di Sands, quel Leon Buchholz che dalla Galizia era passato all’Austria e da lì alla Francia? Come buona parte dei personaggi descritti nel libro, anche la vita sua e dei di lui familiari non correva per linee rette, ma era segnato dai binari morti verso Theresienstadt, Treblinka e Auschwitz, da percorsi tortuosi e labirintici con più di una sorpresa e la consueta serie di incongruenze, buchi neri e punti luminosi.

La strada verso Est ci conduce per ritornare quasi un intero secolo indietro, in un paesaggio politico, culturale e sentimentale dell’Europa, che, galassia scintillante, prima di esser stata spenta, ha investito, quasi esplodendo come una supernova, del suo chiarore parte della nostra civiltà occidentale. Il concetto giuridico del rispetto e della protezione dei singoli individui e delle minoranze, siano esse etniche, culturali, linguistiche e religiose, a cui due figli di quelle terre hanno dedicato la loro vita, è uno di quei raggi di luce che attraversa il profondo buoi del nostro tempo.

Consigliato da
Andras

RIPROPOSTA:
Il lettore della rubrica dedicata ai consigli bibliografici coglierà immediatamente la strana circostanza che un titolo di libro suggerito appena qualche mese fa abbia trovato l’onore, il privilegio di essere riproposto. Quale strana motivazione poteva essere all’origine di tale scelta? Una svista, la poca voglia di scrivere una nuova recensione, la tirannica insistenza da parte dell’operatore nel veder letto il saggio in questione?
Nulla di tutto questo! Il mio ritorno a La strada verso est è dettato dall’attuale contingenza politica, ma anche "culturale" che vede coincidere questa settimana il reiterarsi della Commemorazione dello Sterminio degli Ebrei, della discussione, spesso violenta, sull’intervento sanguinoso d’Israele nella Striscia di Gaza e, prendendo nuova linfa su entrambi i margini estremi della politica, dell’antisemitismo che, da latente che era, è riesploso con inaudita furia negli ultimi 2-3 mesi.
Ora non intendo riproporre tutte le vicissitudini dei protagonisti ed astanti di questa storia. Desidero invece – ed è l’unica principale motivazione di questa mia scelta - puntare l’attenzione del lettore sulle due questioni, per così dire, accademiche del libro di Philippe Sands, vale a dire il concetto stesso di crimine contro l’umanità, e soprattutto genocidio. Di fronte al ritorno massiccio sulle labbra di giornalisti, conduttori mass-mediali, politici e “semplici” cittadini di questo lemma, che a suo tempo era pure un neologismo ed intendeva designare in termini giuridici il disegno e l’attuazione consapevoli di annientare fisicamente una comunità di uomini dalle caratteristiche etniche, culturali ecc., ben precise (si veda la voce Convenzione sul genocidio in Wikipedia), di fronte al suo uso spesso superficiale e troppo disinvolto, dobbiamo, grazie alla meritoria opera del nostro giurisperito anglosassone, ritornare al tortuoso farsi dei due concetti specifici del diritto penale internazionale: 1) il fatto che i due pensieri sembravano trovarsi inizialmente – anche per le scelte professionali dei due pro o antagonisti - come in contrasto tra di loro, quello del genocidio troppo ritagliato sulla contingenza di un Europa sotto dominio nazista, quello dei crimini contro l’umanità troppo universalistico per cogliere l’indicibilità e l’unicità dell’orrore sterminatore; 2) la spesso difficile, se non impossibile contestabilità di un disegno genocidiale preciso e consapevole rendeva e rende tuttora il più delle volte impraticabile ed evanescente l’accusa - ragion per cui non ha trovato ingresso nella pianta accusatoria del Processo di Norimberga. Tutte questioni attuali, ma meditate già nei lontani anni ‘40 del 19º secolo.
Attuali si è detto. Purtroppo si! Lo si è visto in tutte le “crisi” che hanno segnato l’ultimo secolo della nostra storia, dallo sterminio degli Armeni, dalla guerra del Biafra, dalle “epurazioni sterminatorie” di Pol Pot, al genocidio ruandese, alle guerre civili iugoslave, che è arduo comprovare la premeditazione di si fatto reato. E se premeditazioni non ci fosse e lo sterminio in massa risultasse “soltanto” “prodotto” da un uso spropositato della violenza, se lo sterminio si abbattesse, nella vastità del fenomeno, non soltanto su gruppi etnici, culturali, religiosi e linguistici, ma su entità classiste, comunità sociali, politiche o categorie socio-economiche? L’accusa di “genocidio” o sterminio di massa cadrebbe forse anche sull'"esperienza leninista-stalinista" dell'Unione sovietica con i quasi 20 milioni di vittime.
Credo che sia utile ripercorrere le difficoltà che hanno trovato i due insigni avvocati nel definire i confini delle due fattispecie penali, le reticenze ed i dubbi che hanno creato in chi era deputato ad usarle, le attese e speranze in un mondo migliore che hanno nutrito nel veder applicato ambedue le categorie accusatorie.
Questi ed altri interrogativi, riflessioni e discussioni sul nostro tempo, che qualcuno ha pretenziosamente definito “poststorico”, possono trovare punture di stimolo, di sensibilizzazione nel libro La strada verso est. Un “buon” libro come questo è d’altronde scritto per più di una stagione e per più di una proposta di lettura.


La lettura di La strada verso est è frutto di un suggerimento, un consiglio, proprio come quello che sta facendo ora il sottoscritto. Solo che il suggeritore era niente meno che John Le Carré. Da subito mi ha incuriosito la sua presentazione che citava: “Un impresa formidabile… un viaggio profondamente personale alle origini del genocidio e dei crimini contro l’umanità.” Prometteva qualcosa simile alle sue spy stories? Forse! Sta di fatto che ho iniziato la lettura e mi è sembrato appropriato paragonarlo per lo meno ad un racconto d’indagine, di ricerca, di investigazione . Infatti Sands parte dai suoi parenti e, a un certo punto, oltre a cercare di gettare luce sul passato della sua famiglia, s’inoltra nei sotterranei del tempo ad illuminare a ritroso quel che erano le sorgenti della sua vocazione intellettuale e professionale. E proprio come un detective segue le varie tracce luminose che hanno lasciato i suoi padri votivi tra Europa ed America, accanto e in contemporanea a quelle molto più tortuose dei suoi cari. Proprio l’alternarsi, l’intrecciarsi tra i due filoni di destini rende la lettura intrigante, fa oscillare l’empatia del lettore tra privato e pubblico, l’intimo e il mondo, tanto da rievocare il brano di un noto cantautore che decreta che, in fondo ed inesorabilmente “la storia siamo noi”.

copertina La strada verso est

La strada verso est

/ Philippe Sands : traduzione di Isabella C. Blum
Nel 2010, per tenere una conferenza sui crimini di massa e sul processo di Norimberga, l'avvocato e...
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