“Piazza del Diamante” , la piazza principale di Grácia, il quartiere popolare di Barcellona, apre e dà il titolo alla storia di Natália. Una ragazza , si direbbe senza esitazioni, pulita e semplice, un po’ ingenua che essendo di famiglia non benestante è riuscita a conquistarsi con il lavoro in pasticceria un piccolo, modesto posto al sole, quando un giorno in Piazza del Diamante irrompe nella sua vita tranquilla un giovanotto, Quimet, suo futuro marito. L’incontro ha del burrascoso, travolgente, ma certamente non per la sua carica di romanticismo, passione e tenerezza, ma piuttosto per la prepotenza e sopraffazione perpetrate dall’uno verso l’altra. È una cifra, un marchio che imprime la sua ombra sul matrimonio della ragazza e che si dipanerà come una lenta e silenziosa via crucis. Natália sembra essere del tutto indifesa innanzi all’atteggiamento maschilista del marito, insensibile, dispotico e pregiudiziale. All’abitudine sadica di suscitare e risvegliare nella donna volutamente sensi di inferiorità e colpa tipicamente sessisti e misogini – l’iniziale difficoltà di restare incinta, la richiesta di abbandonare il lavoro, il controllo fisico dettato dalla gelosia – la ragazza risponde al lettore-interlocutore con la costatazione sommessa e remissiva che “mio padre mi disse sempre che ero esigente …” , ma pure accusatoria, cioè, che “mia madre non mi aveva mai parlato degli uomini”. Dietro la rassegnazione di Natália si nasconde e si muove un animo sensibile, triste e certamente rassegnato ma già allora consapevole, seppur non espressamente, del torto e dell’ingiustizia di certe sofferenze e dolori. Anche la gravidanza e la nascita dei due figli lascia nel racconto della giovane l’impronta di un sopruso – “…il ventre che non era mio … svuotato di me per riempirmi di qualcos’altro di estraneo”. Il gramo destino si trascina fino all’arrivo della guerra quando l’assenza del marito da estemporanea si fa continuativa con il reclutamento tra i repubblicani e poi definitiva con la sua morte. Natália si trova sola a dover sostenere i figli e lottare, con la fine della repubblica e la conquista franchista di Barcellona, per la loro sopravvivenza. Fame, persecuzioni, esecuzioni sommarie soffocano la città per spegnervi qualsiasi speranza e con essa la vita. È la fine, se non voluta, certamente indotta.
Quando sembra che tutto precipiti in un baratro senz’uscita appare all’improvviso uno sprazzo di luce. Non il bagliore folgorante di un miracolo, di un’intercessione divina, ma un lume povero, piccolo, che brucia sommessamente con la perseveranza della semplicità del destino di chi ne viene illuminato. A Natália sembra disvelarsi quella piccola , modesta fortuna che la donna adolescente aveva scambiato per una vita nel limbo incolore e doloroso di un matrimonio sbagliato fino a dover scendere, spinta dagli eventi esterni, al girone più profondo dell’inferno. Da lì è risalita per rivedere le stelle in Piazza del Diamante solo che questa volta le quinte architettoniche sembrano spalancarsi in un gesto liberatorio definitivo.
Natália più che raccontare, sembra suggerisca al lettore il suo monologo sulla vita, incerta, sembra, della legittimità del proprio sentire soggettivo. La sua “delicatezza di sentimenti” dipinge il proprio calvario con estrema semplicità e non lascia alcun spazio alle contorsioni d’animo di cui soffrono gli uomini. Con una voce essenziale, chiara e delicata ed un andamento discorsivo piano– specchio dell’estrazione sociale e della psiche sue – districa la dolorosa matassa del passato, parola dopo parola, fin quando la struttura narrativa si infittisce al punto da rendere con una straordinaria intensità psicologica la complessità e la fragilità del suo animo femminile. A questo punto basta il calare di una sola parola per far agitare, come un sasso, le acque profonde della sua narrazione facendo emergere allusioni cariche di presagio. Di contro alla grigia rassegnazione ad un rapporto coniugale sofferto e fallimentare si staglia l’acume con cui la protagonista registra ogni minimo dettaglio del ambiente che la circonda, dalla disposizione dei vani delle case, dagli arredi domestici fino alla decorazione floreale. I vasi e le aiuole di fiori ed alberi accendono una tavolozza di colori ed un registro di profumi travolgenti, un cuscino vegetale salubre su cui l’anima spossata della ragazza sembra trovare l’unico riposo. Un riposo e quel poco di serenità tanto agognato si affacciano con la stessa semplicità, linearità e modestia per cui Natália si distingue quando un giorno le si presenta quell’amore imperfetto ma sincero che “aveva le labbra fatte per parlare sotto voce e dare calma.”
La grande dama della letteratura catalana ci offre con “La piazza del diamante” innegabilmente un capolavoro. Se la storia di una ragazza semplice e sfortunata ripropone da una parte il destino di gran parte delle donne della piccola-media borghesia dell’epoca, rispecchia dall’altra anche il destino della Catalogna tra l’euforia della 2ª Repubblica e lo spettro della dittatura franchista. Sin qui nulla di straordinario, se non fosse per la bravura e la brillantezza con cui Mercè Rodoreda rende i sentimenti e le emozioni, suggerisce le atmosfere dei tempi e dei luoghi in cui la storia si colloca. La storia con la s piccola, ma allo stesso tempo anche maiuscola. La scrittrice barcellonese ci parla di fatto sempre attraverso gli uomini, i singoli individui. Gli eventi storici appaiono solo di riflesso, per certi versi plasmati dalla vita interiore della protagonista, squarciando in quei rari casi in cui irrompono il velo della sua soggettività con violenza. La narrazione-storia della Rodoreda risulta/è profondamente umana. Si astiene sostanzialmente da qualsiasi giudizio morale e riporta le peripezie esistenziali dei personaggi, anche in questo caso simile al dispiegarsi della Storia, soltanto attraverso le palpitazioni dell’anima dell’io-narrante. Con uno stile semplice che ricrea con rara competenza il quasi-parlato di una donna poco istruita – prevale la paratassi e la ripetizione – Mercè riesce ad addensare la propria tavolozza linguistica in un colorismo psicologico straordinario con un amplissimo spettro di sfumature, di chiaroscuri e riflessi attraverso i quali si dispiega l’animo della fanciulla. Non per caso si è parlato all’apparizione del romanzo unanimemente di una “nuova Virginia Woolf”. Basta quello come raccomandazione per il lettore. Buona lettura!
/ Mercè Rodoreda
"La piazza del Diamante" è il racconto di una vita: la storia di Natàlia, una ragazza molto semplic...