L’interesse per lo yiddish ha una duplice, seppur sfumata radice, toccando le corde sentimentali, ossia, musicali , e quelle razionali di stampo culturale.
Quando da adolescente mi dilettò nella visione del film di Bob Fosse Cabaret assistetti alla nota scena tra il cripto-ebreo Fritz Wendel e la prostituta, Natalia Landauer, ebrea dichiarata. Il dialogo tra i due protagonisti era segnato da un continuo intercalare, da parte della Landauer dell’appellativo jingele ossia iungele (tedesco Jüngling), che significa giovincello, giovanotto. L’uso del diminutivo (nello yiddish giovane si dice iung) non ha soltanto la funzione di rendere la dimensione, ma anche di connotare il soggetto di un suo colorito affettivo. Tutte due le dimensioni mi colpirono al punto che, pur non avendo ancora avuto contatti veri propri con la lingua (a parte alcune locuzioni passate nel tedesco), mi lasciarono attratti da quello che intuivo non essere semplicemente una declinazione della cultura tedesca, ma di una vera e propria civiltà a se stante.
Su quel sotterraneo rigagnolo di fascinazione si impiantò poi l’interesse culturale e storico per lo yiddish, come strumento di comunicazione e scrittura adottato dalla stragrande maggioranza della diaspora europea (11 milioni nei confronti dei 2 milioni di ebrei sefarditi ed italiani). Veicolo di conoscenza, saperi e costumi ed usi millenari, è da considerarsi una lingua moderna a tutti gli effetti; lo yiddish era alla base di una civiltà, quella dell’ebraismo europeo centro-orientale, ormai scomparsa in gran parte dal nostro continente dato che i 5 milioni di ebrei sopravvissuti alla Shoah hanno lasciato i luoghi di residenza millenari per Israele e gli Stati Uniti. La loro lingua è, accanto ai numerosi cimiteri delle comunità israelitiche estinte, l’unica vestigia rimasta di questo mondo che aveva arricchito per secoli la cultura europea regalandole poeti, letterati, scienziati, artisti e rendendola più variopinta e complessa con la presenza delle comunità di semplici fedeli. Come ben dimostra Anna Linda Callow la loro cultura e la loro lingua furono, nei due millenni passati spesso la cartina di tornasole della nostra e della loro identità culturale, della nostra capacità di accoglienza e della loro di integrazione, e, aihmé, delle nostre ricadute nella barbarie e la loro strenua e disperata lotta per la sopravvivenza.