Catturato già in precedenza dalla forza affabulatoria della saggistica storica anglosassone – si veda la recensione de
Il ritorno di un re di William Dalrymple – sono ritornato a solcare i mari della produzione storiografica d’Albiona con L’accordo di Tim Bouverie. E, manco a dirlo, la lettura ha soddisfatto tutte le mie aspettative. Il giovane autore, rampollo di una delle famiglie aristocratiche più note dell’isola e laureato al Christ Church College di Oxford, si districa benissimo tra le fonti diplomatiche, politiche da una, e quelle epistolari, giornalistiche e private dall’altra. Il lettore viaggia in questo modo spedito come un pattino sul ghiaccio tra disquisizioni tecniche di ambito diplomatico, geopolitico, militare ed economico e le frivolezze, commenti e pettegolezzi che giravano in mezzo alla high society dell’isola. E proprio il ricorso alle voci del gossip, delle opinioni di strada e di palazzi che segnano la temperatura sul termometro del consesso civile britannico suscitando di tanto in tanto perplessità, sconcerto, sottile ironia e compiaciuto umorismo in chi legge. Dall’altra svela le sottili stratificazioni del mondo aristocratico isolano, i coloriti ideologici a volte sorprendenti, la commistione tra rango e influenza politica, tra ambizione e incapacità, tra giochi di potere e comunanza nel sentirsi impero. Ci si convince quindi che il passato non è acqua, per lo meno nel caso di Bouverie come in quello di William Dalrymple, in quanto definisce la forma e l’orizzonte mentale di chi scrive, li incastra in una cornice culturale che risuona come un diapason ogni qualvolta lo scrittore affronta le problematicità della trattazione storiografica. Un saggio da “consumare” piacevolmente con il consueto leggero stile della “conversazione all’inglese” e quel pizzico di suspence di una spy story.