L'accordo, di Tim Bouverie

Chamberlain, Hitler, Churchill e la strada verso la guerra

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Andras
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Ultimo aggiornamento: 24/02/2023
Chamberlain, Daladier, Hitler, Mussolini e Galeazzo Ciano, 5 personaggi per una conferenza, quella di Monaco del 1938 che si pensava allora fosse riuscita a porre un freno agli appetiti territoriali del dittatore austriaco. 5 attori messi in riga con i loro sguardi tra pietrificato e cagnesco, protagonisti della scena politica europea di quei anni che portarono dritti alla 2ª Guerra mondiale e di cui l’autore ci dà un memorabile affresco politico. Al centro del saggio sta soprattutto l’Inghilterra con il suo governo e corpo diplomatico, simboli e custodi del “Rule Britannia”. Ma vengono nemmeno trascurata l’analisi delle politiche e strategie degli altri paesi interessati. Bouverie ci dipinge il Regno Unito alla vigilia della presa di potere nazista in Germania come un paese vittorioso, ma ancora segnato e memore dell’immane carneficina che imperversò tra il 1914 ed il 1918. Il pericolo nazionalsocialista non viene percepito ancora dalla stragrande maggioranza dei sudditi di sua maestà re Giorgio VI, seppur pochi, pochissimi rappresentanti dell’establishment britannico sembrano intravvedere già allora le nuvole di tempesta sull’orizzonte al di là della Manica. L’opinione pubblica è scioccata soprattutto dall’efferatezza delle persecuzioni degli ebrei, ma lo sdegno non va oltre alcune dimostrazioni pubbliche. Anzi è sorprendente notare che una fetta non trascurabile dell’alta società inglese dimostrava una certa simpatia per il governo nazista, sia perché desiderasse convintamente l’amicizia tra i rispettivi popoli, sia perché condividesse certe convinzioni ideologiche – tra cui anche l’antisemitismo – e vedesse nel nazionalsocialismo soprattutto un baluardo contro il dilagare del bolscevismo. Herr Hitler dovette apparire ai più quel rozzo e mediocre imbianchino austriaco che era, ma di certo non disturbava i sogni tranquilli delle case londinesi. Troppo profondo era ancora l’orrore delle armi perché si ascoltasse cassandre dal taglio di Winston Churchill, che richiamarono la nazione sulla necessità di riarmare l’Inghilterra, man mano che si palesava la folle corsa alle armi lanciata dal regime nazista. Il paese voleva godersi la vita e la pace ed era convinto che anche gli altri popoli sentissero allo stesso modo.
Da quel momento in poi passarono lungo i fiumi d’Europa tanti cadaveri quanti assassini si agitavano sulla scena continentale ed internazionale : l’Etiopia, la Spagna, l’Austria ed infine la Cecoslovacchia. La crisi causata dalla questione dei Sudeti richiamò i nostri 5 a radunarsi intorno al tavolo di Monaco di Baviera. Ne partirono alcuni con l’illusione di aver trovato il modo con cui sciogliere il famoso nodo della matassa per la pace, altri convinti che poteva fungere da comodo velo sotto il quale continuare a architettare soprusi e prevaricazioni nei confronti dei popoli d’Europa. Quel che il risultato della conferenza contribuì in un senso o nell’altro era polarizzare maggiormente i fronti all’interno della società: da una parte coloro che credettero nel valore risolutivo del trattato e nel fatto che esso avrebbe garantito alla pace una bolla d’aria per lo meno per i prossimi 10 anni; dall’altra – e fu una maggioranza che crebbe di mese in mese – chi pensava che i capi delle democrazie europee avessero calate le brache di fronte alla bestialità divoratrice delle dittature, che avessero tradito sull’altare dell’opportunismo e della pusillanimità il popolo ceco. E quindi che opporsi al disegno degli orchi fosse ormai esistenziale per la sopravvivenza delle società libere e per l’onore del popolo inglese. In quell’anno che sarebbe trascorso tra la fine del settembre 1938 e l’inizio settembre del 1939 i nodi del secolo 20º iniziato sarebbero venuti al pettine e nessun mezzo sarebbe apparso capace di scioglierli se non il taglio gordiano della guerra.
Consigliato da
Andras
Catturato già in precedenza dalla forza affabulatoria della saggistica storica anglosassone – si veda la recensione de Il ritorno di un re di William Dalrymple – sono ritornato a solcare i mari della produzione storiografica d’Albiona con L’accordo di Tim Bouverie. E, manco a dirlo, la lettura ha soddisfatto tutte le mie aspettative. Il giovane autore, rampollo di una delle famiglie aristocratiche più note dell’isola e laureato al Christ Church College di Oxford, si districa benissimo tra le fonti diplomatiche, politiche da una, e quelle epistolari, giornalistiche e private dall’altra. Il lettore viaggia in questo modo spedito come un pattino sul ghiaccio tra disquisizioni tecniche di ambito diplomatico, geopolitico, militare ed economico e le frivolezze, commenti e pettegolezzi che giravano in mezzo alla high society dell’isola. E proprio il ricorso alle voci del gossip, delle opinioni di strada e di palazzi che segnano la temperatura sul termometro del consesso civile britannico suscitando di tanto in tanto perplessità, sconcerto, sottile ironia e compiaciuto umorismo in chi legge. Dall’altra svela le sottili stratificazioni del mondo aristocratico isolano, i coloriti ideologici a volte sorprendenti, la commistione tra rango e influenza politica, tra ambizione e incapacità, tra giochi di potere e comunanza nel sentirsi impero. Ci si convince quindi che il passato non è acqua, per lo meno nel caso di Bouverie come in quello di William Dalrymple, in quanto definisce la forma e l’orizzonte mentale di chi scrive, li incastra in una cornice culturale che risuona come un diapason ogni qualvolta lo scrittore affronta le problematicità della trattazione storiografica. Un saggio da “consumare” piacevolmente con il consueto leggero stile della “conversazione all’inglese” e quel pizzico di suspence di una spy story.
copertina L'accordo

L'accordo

Bouverie, Tim
Il 30 settembre 1938, il primo ministro inglese Neville Chamberlain, con una frase che l'avrebbe tormentato per il resto della vita, assicurò alla folla radunata davanti al 10 di Downing Street «la pace per il nostro tempo». Meno di un anno dopo, l'invasione tedes...
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