I Quaderni di conversazione si trovano in questa edizione preceduti dal Testamento di Heiligenstadt, scritto da Beethoven nel 1802 durante la sua permanenza a Heiligenstadt, allora ancora un paese alle porte di Vienna. Il testamento, pur formalmente ricalcando quelle delle ultime volontà espresse da chi è consapevole di morire, non lo è in realtà. I due fratelli ivi citati non sono stati mai i veri destinatari della lettera che non sarà mai spedita e, malgrado l’invocazione iniziale rivolta all’umanità in generale, pubblicata con Beethoven in vita. Il cruccio doloroso a cui il compositore dà sfogo è la consapevolezza dell’incipiente sordità, il terrore che la sua riservatezza possa essere frainteso per misantropia, quando è invece frutto della paura di dover svelare al mondo della musica e agli ammiratori la crudele realtà della sua invalidità. Il Testamento di Heiligenstadt Beethoven lo scrive a se stesso per se stesso. Si tratta di una terapia, un punto di svolta nel segno di una raggiunta consapevolezza della sua condizione di difficoltà esistenziale e precede una rinascita. Che questa risalita dagli inferi della disperazione abbia avuto luogo, che Beethoven sia riuscito a superare l’estremo smarrimento, è il merito dell’assimilazione nel suo più intimo della legge morale di Kant: “Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me. Kant!!!” commenta Beethoven nei Quaderni, sottolineando l’importanza per se stesso e il suo entusiasmo con tre punti esclamativi che seguono il nome del filosofo. Ne consegue che il grande musicista è convinto che anche a lui, come ad ogni uomo, è dato il conseguimento del “sommo bene”. Questa convinzione gli impedisce di lasciare il mondo non prima di aver dato agli altri uomini quanto sente di poter offrire loro con il suo talento: “Cercare il Sommo Bene del compimento di sé nella creazione”, scrive nel Diario. “Non devi essere un uomo, non per te stesso, solo per gli altri; per te non c’è più felicità se non in te stesso, nella tua arte. … Vivi soltanto nella tua arte”.
I Quaderni di conversazione di Beethoven rimangono un oggetto letterario unico, grazie al quale possiamo varcare la soglia che ci permette di conoscere la quotidianità, gli affetti, i dolori, le preoccupazioni sue e delle persone che gli sono state più vicine, le idealità, l’avanzare delle opere, le considerazioni sui colleghi compositori e sugli interpreti, in un periodo che attraversa i dieci ultimi anni di vita del musicista dal 1818 al 1827. Da questi quaderni Beethoven non si separò mai. A casa, nelle Weinstuben, nelle locande, durante le passeggiate, a teatro e in viaggio. Dal febbraio 1818, data del primo Quaderno, rimarrà questo il principale mezzo di comunicazione con il mondo. Sceglierlo e servirsene significa aver superato l’angoscia, che al tempo del Testamento di Heiligenstadt lo opprimeva.
La parola scritta è qui una obbligata sostituzione dell’oralità. È necessario percepire il modo in cui questi dialoghi, a due o più voci, si svolgono: l’interlocutore scrive, traccia sulla carta una breve linea orizzontale per indicare che ha concluso. Beethoven legge, risponde, quasi sempre a voce, attende la replica. Chi ascolta, sa che dovrà rispondere scrivendo. Il tempo necessario a far nascere una pagina dei Quaderni richiede una diversa mediazione e concentrazione rispetto al tempo di una conversazione orale.
Sul palco dei Quaderni salgono vari attori: musicisti, costruttori di pianoforti, domestici, avvocati, funzionari pubblici, giornalisti, insegnanti, medici, scrittori, segretari che agiscono e si trovano coinvolti in contesti tra i più diversi, nelle situazioni più variegate della vita di Beethoven: dai frequentissimi traslochi alle serate con gli amici nelle osterie, dalle cene a base di ostriche, di cui Ludwig andava ghiotto, dai dibattiti quotidiani con il suo amico, impiegato di banca, circa i più sensati investimenti finanziari alle disquisizioni su arte, musica, teatro e novità librarie.
In mezzo a questo intrico di circostanze vi emergono comunque tre questioni di preoccupazione che ricorrono frequentemente: innanzitutto il problema dell’udito con il conseguente ricorso ai rimedi più diversi. Applicazioni meccaniche, farmaci innovativi e trattamenti miracolosi, come i tappi di rafano grattugiato. Cure e strumenti ausiliari che alla fine non cambiano il quadro clinico.
Colpisce poi un altro dato ricorrente. La simpatia, la nostalgia che l’entourage di Beethoven, e si potrebbe ipotizzare anche buona parte della borghesia viennese, sente per Napoleone, paladino di una civiltà politica liberale. Fanno subito il giro le notizie degli ufficiali insorti a Cádiz, dei contadini rivoltosi contro un magnate ungherese, i moti rivoluzionari del 1821 a Torino e Napoli con espressa l’intima speranza di un cambiamento politico imminente. Sono pensieri messi per iscritti con libertà sui Quaderni. La loro dimensione privata per di più consente critiche esplicite alla politica delle monarchie austriaca ed europee durante la Restaurazione, troppo imprudenti in contesti pubblici. Klemens von Metternich, cancelliere dal 1822 al 1848, aveva creato in pochi anni uno Stato di polizia e Beethoven, a cui gli amici “rimproverano” il fatto che parli in pubblico a voce troppo alta di cose compromettenti, era stranoto – soprattutto dopo l”incidente di Teplitz” – per le sue idee rivoluzionarie e libertarie.
Il tormento maggiore, almeno a giudicare dall’insistenza con cui Beethoven ed i suoi amici ritornano sull’argomento per tutto l’arco di anni che coprono i Quaderni, è quello dell’affidamento e dell’educazione del nipote Karl. Il figlio del fratello, prematuramente scomparso, desta continuamente i patimenti del compositore, sia per la sua indole non facile, sia per la sua posizione tragicamente difficile di essere conteso dallo zio e dalla madre. L’iter giudiziario per il suo affidamento va avanti per anni, tra processi, istanze varie, ricorsi in appello e vede coinvolto gli amici di Ludwig, ma addirittura anche il suo mecenate ed allievo, l’arciduca Rodolfo d’Asburgo. E qui che possiamo osservare più da vicino le sfaccettature dell’animo di Beethoven; accanto al senso di responsabilità, l’ansia di accudimento del nipote pressoché ossessivi vi è, latente, il sentimento di acrimonia, livore e acredine nei confronti della cognata Johanna, madre di Karl. Emozione quasi collettiva, visto che è condivisa dal cerchio di amici, co-tutori e pedagoghi, anche tra i più progressisti, dell’artista di Bonn. Certamente poche volte accadde che donna fosse così vituperata nella scritture private! Circostanza quest’ultima, che aggiunge – oltre ai dettagli sorprendenti che i Quaderni rivelano sulla vita del musicista – inaspettate sfumature, colori cangianti e anche ombre sulla psiche e sull’animo di uno tra i più geniali compositori di sempre.