Ci sono nel mondo più di 60 musei dedicati alle lingue dei vari Paesi, tra questi vale la pena menzionale l’Ivar Aasen Centre di Ørsta (1898), intitolato al fondatore della lingua norvegese, uno dei più antichi, il Museum der Sprachen der Welt, in Germania; il Linguistic Educational Museum, in Ucraina; il Mundolingua, in Francia, il National Museum of Language, negli Stati Uniti, e certamente il Museu da Língua Portuguesa che sorgeva a San Paolo, distrutto in un incendio nel 2015 e ora in fase di ricostruzione: esempi che potrebbero ispirare la costituzione di un nostro museo della lingua italiana che ancora non c’è, ma che potrebbe realizzarsi a breve.
Questa è infatti l’esortazione che l’autore, Giuseppe Antonelli, esprime tracciando, nella sua opera “Il museo della lingua italiana”, una vera e propria storia della nostra lingua, suggerendo al contempo e concretamente la costituzione di uno spazio espositivo suddiviso in tre macro categorie: l’italiano antico, l’italiano moderno, e l’italiano contemporaneo.
L’autore, professore ordinario di Linguistica Italiana all’Università di Pavia, ci accompagna tra queste stanze ideali e ci presenta l’evoluzione dell’italiano tra letteratura e documenti che testimoniano la lingua parlata: dal placito di Capua, del 960, che contiene per la prima volta una frase in lingua volgare in un testo ufficiale redatto in latino, fino a giungere ai giorni nostri presentandoci alcuni oggetti di uso quotidiano che hanno contribuito a diffondere l’italiano anche tra le persone meno istruite.
La lingua infatti, non è solamente quella prodotta dalla letteratura, ma è anche quella quotidiana, quella parlata e scritta nei social.
Tuttavia, come spiega lo stesso insigne professore, l’italiano è stato per molti secoli legato alla tradizione letteraria, una lingua essenzialmente scritta perché almeno fino a 50 anni fa la popolazione si esprimeva spesso solo con il dialetto: fu Dante più di ogni altro a gettare le basi del volgare utilizzando quel fiorentino, al centro della sua opera il “De vulgari eloquentia”, riuscendo a plasmare una nuova lingua attingendo dalla filosofia, dalla scienza, dalla Bibbia, dalla vita di tutti i giorni.
E inventando anche nuove parole.
Petrarca e Boccaccio riconobbero fin da subito nel sommo poeta la figura chiave a cui ispirarsi per comporre in volgare, sebbene solo con Leon Battista Alberti prima, e successivamente con Pietro Bembo, in pieno Rinascimento, si cominciò a mettere per iscritto le regole grammaticali del volgare, decretando di fatto la nascita della distinzione tra lingua scritta e lingua parlata.
Intanto il nostro italiano si stava plasmando non solo attraverso la poesia e la letteratura, ma vivendo anche al di fuori dei libri: ad esempio nelle prediche dei sacerdoti, nelle lettere dei commercianti, e dei banchieri, diffondendosi tra la popolazione.
Il dibattito sulla questione lingua nel corso dei secoli diviene per gli intellettuali un tema centrale: da Leopardi a Manzoni, da D’Annunzio a Pirandello tra visioni nostalgiche rivolte al passato e proposte proiettate nel futuro.
Dopo l’unificazione d’Italia (1861) si pone la questione della diffusione di una lingua capace di creare coesione tra i nuovi italiani, individuando nella scuola l’agenzia deputata all’insegnamento dell’italiano stesso; tuttavia l’imposizione di modelli troppo arcaici e lontani dalle esigenze della vita quotidiana non faciliterà il raggiungimento di questo obiettivo, conseguito solamente con la diffusione dei mass media: radio, cinema, e anche in parte il telefono, consentiranno di diffondere la lingua ad una popolazione sempre più vasta.
Dopo la seconda Guerra Mondiale comincerà a delinearsi l’italiano contemporaneo e lo stesso prof. Antonelli individua nella nostra Carta Costituzionale un modello di italiano “limpido ed efficace” capace di essere comprensibile a tutti, attuando un esempio linguistico fortemente democratico.
Oggi la diffusione globale delle informazioni e quindi anche del linguaggio crea quell’ambiente favorevole per una continua evoluzione della nostra lingua tra contaminazioni e neologismi.
In pieno spirito social lo stesso Antonelli, qualche tempo fa al Festival della Letteratura di Mantova, ha invitato i lettori a suggerire un oggetto, da collocare tra gli spazi espositivi del futuro museo, in grado di evocare un’idea, un momento storico, una parola, perché sarebbe riduttivo identificare la lingua solo con la letteratura. Il museo quindi non avrà solo scopo celebrativo, ma dovrà restituire a ciascun visitatore un senso di appartenenza.
Di recente è stata riportata la notizia della nascita del futuro Museo della Lingua italiana che dovrebbe trovare la sua collocazione fisica a Firenze, nel complesso di Santa Maria Novella: l’impegno del prof. Antonelli è stato premiato, nell’attesa vi consiglio di immergevi in questa lettura che è molto di più di un’opera divulgativa; il libro è un vero e proprio atto d’amore che noi tutti dovremmo leggere per conoscere la bellezza del nostro patrimonio linguistico.