Martin Pollack è per certi versi noi, o meglio, il rappresentante dei Kriegskinder, dei figli della guerra, figli dei soldati della Germania del 19º secolo. Il suo percorso formativo, doloroso, agognato è rappresentativo ed emblematico della lunga e travagliata ricerca della verità storica e della resa di conti con il passato della nazione tedesca, tanto, quanto lo erano i silenzi, i non detto, se non addirittura le menzogne e bugie che gravavano sul dopoguerra germanico. Essendo riuscito a combinare questi due aspetti del nostro secolo passato con pacatezza, in un registro piano, scevro di ideologie facili, emozioni deformanti, sulle due facce della medaglia strorica personale e collettiva, è il grande merito di Martin Pollack. A questo si aggiunge un'altra qualità e novità nell'ambito storiografico e letterario tedesco: la grande padronanza conoscitiva e – lo si sente – l'affetto che l'autore serba per il mondo slavo orientale, principale vittima degli sconvolgimenti del 20º/21º secolo. Tutto insieme fa sì che questo racconto possa figurare – a detta di Claudio Magris – come un'autentico "piccolo gioiello".