Il moro della cima, di Paolo Malaguti

la storia di Agostino Faccin

Creato da:
Emy
Sei in: Bibliografie
Ultimo aggiornamento: 01/12/2023
Burbero, schivo, solitario, impavido. Agostino Faccin sembra un perfetto personaggio letterario che impersona il montanaro. Ma Agostino è stata una persona reale, vissuta davvero sul rifugio del Monte Grappa a cavallo tra due secoli e ha visto la fine dell'antico mondo ottocentesco e la nascita del "contemporaneo" '900. Un secolo che si chiude guardando verso i monti, con le prime spedizioni esplorative, la nascita e lo sviluppo del CAI e lo studio appassionato della splendida fauna alpina. Ma in montagna, anche in una giornata di sole, il tempo può cambiare repentinamente e all'orizzonte ci sono nuvole molto, molto nere, cariche di dolore e di morte, portate dai venti dalla Grande Guerra. Quando inizia la guerra i soldati gli intimano di scendere dal suo rifugio in quota perché la zona diventerà teatro di scontri e Agostino Faccin accetta ma con grande spavalderia e non senza aver messo in chiaro che la sua è una concessione di un anno, non un obbligo a cui obbedire. Conosce bene la sua montagna e non si spaventa davanti a nulla, nemmeno davanti agli ufficiali. Ciò che non può immaginare è che al suo ritorno alla fine della guerra, troverà un territorio pesantemente modificato e lacerato da cunicoli, trincee e segni lasciati dalle artiglierie ma ciò che lo colpirà maggiormente sono i soldati che, nonostante la fine degli scontri, come fantasmi continuano ad aggirarsi per i monti, prigionieri delle loro menti e degli orrori a cui hanno dovuto assistere. Gente comune partita forse per obbligo o forse per un ideale, ma totalmente impreparata a quanto stava per accadere. 
Malaguti sceglie un punto di vista insolito per raccontare l'amore per la montagna, per la natura, con il senso di pace che solo l'isolamento è in grado di dare e di come la guerra possa portare con sé non solo ferite della corpo ma anche e soprattutto dell'anima.
Consigliato da
Emy
Passeggiare a Cima Grappa, ma anche in alcune piane vicino ad Asiago, o del Pasubio mi lascia sempre una strana sensazione. Veder in mezzo al bosco improvvisi spazi aperti con un monumento a perpetua memoria dei caduti mi spiazza. E' un controsenso per me troppo ardito trovare in mezzo a tanta vegetazione, tanta natura e tanta vita, una ferita così profonda. Penso a quanti giovani hanno trovato la morte tra quei monti, a quanti sono stati feriti e a quanti sono impazziti sotto i fischi e i fragori delle bombe. Nessuno dei soldati nella Prima Guerra Mondiale era preparato a quanto si sarebbe trovato di fronte, le guerre ci son sempre state ma erano combattute in modo diverso e in quelle che son venute dopo, seppur certo non meno terribili anzi forse di più, c'era già una consapevolezza diversa di cosa sarebbe successo in battaglia. Penso a quei giovani soldati che partivano per il fronte con un ideale, un obbligo morale, sicuramente con la paura ma anche con la speranza. Molti di loro non erano soldati ma contadini, braccianti, operai che vivevano nell'Italia dei piccoli paesi, in un mondo silenzioso, così distante dal nostro con poche auto, nessun aereo e nessun rumore che potesse neanche assomigliare a quello di una granata. Penso allo smarrimento che devono aver provato quelli che forse avrebbero rinunciato ad esser chiamati eroi, pur di tornar a casa. Nel libro di Malaguti ritrovo il mio stessa sensazione di non capire come possa essere possibile che ciò sia accaduto, soprattutto in un luogo tanto puro come la montagna, dove vige il rispetto per la natura e per la vita. Malaguti invita anche ad un'altra riflessione di cui negli ultimi tempi si parla molto: il rispetto per la montagna per gli spazi selvaggi e incontaminati che devono essere preservati e protetti nella speranza che non vengano trasformati in un parco giochi per annoiati vacanzieri che ricercano in un ambiente diverso gli stessi ritmi e lo stesso bombardamento di proposte e attività che vivono quotidianamente. E' evidente che l'amore profondo, quasi gelosia, provato dal protagonista del libro Agostino, è diverso dalla semplice meraviglia e attrazione fugace e distratta del visitatore. Non è facile capire dove sia il compromesso per non oltrepassare il confine invalicabile tra sussistenza e benessere dei paesi di montagna e del loro turismo, senza che vi sia una svalutazione e uno sfruttamento cieco e irrispettoso del territorio. Ritengo che oggi sia doveroso fare un esame di coscienza collettivo, prima che sia troppo tardi.
copertina Il Moro della cima

Il Moro della cima

/ Paolo Malaguti
Dicono che per vivere felici si debba trovare il proprio posto nel mondo: molti di noi passano la v...
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