Qualche tempo fa ho consigliato la lettura di "Fútbol", saggio del giornalista e scrittore Osvaldo Bayer che ripercorre la storia del calcio in Argentina partendo dagli inizi con le partitelle tra i marinai inglesi e, passando per la fondazione dei primi club e le vittorie di molti degli stessi in Copa Libertadores (il corrispettivo sudamericano della Coppa dei Campioni, ora Champions League), si conclude col successo della nazionale capitanata da Maradona al Mondiale dell'86.
Conoscente di Bayer era Osvaldo Soriano, che con l'amico condivideva, oltre alla professione di giornalista e il destino di esule negli anni della dittatura di Videla, anche la passione per il calcio. A differenza del "Fútbol" di Bayer, quello di Soriano è una raccolta di racconti, in cui si muovono soprattutto figure che, pur inventate, risultano autentiche per la loro umanità e imperfezione.
Se consiglio la lettura di questa raccolta dopo aver suggerito quella del saggio di Bayer è perché, a mio avviso, pur essendo opere molto diverse sono accompagnate da uno spirito comune. Non è solamente la tematica (il calcio che fu in Argentina) ad affiancarli, ma anche la biografia dei due autori: connazionali, giornalisti, amici, esuli, e nel nostro caso appassionati di calcio. Gli episodi descritti da Bayer nel suo saggio e quelli narrati da Soriano sono uniti dall'amore degli scrittori per questo gioco che, forse in nessun altro paese come il loro, ha rappresentato il riscatto sociale per moltissime persone provenienti dai quartieri più poveri. Il primo campo dove ho giocato era in terra battuta e aveva al centro un tombino di cemento su cui si batteva il calcio d'inizio. Anche per questo, i racconti di Soriano mi hanno richiamato alla mente campi polverosi e assolati, palloni pesanti, scarpe consumate. La scrittura semplice ma colorita, le situazioni spassose e soprattutto i personaggi grotteschi non possono non ricordare a chi, come il sottoscritto, ha limitato la sua "carriera" proprio ai campetti con le porte improvvisate, analoghe figure che calcavano i campi con il solo e unico scopo di divertirsi, indipendentemente dal livello del gioco. Quei terreni sono un calderone in cui, a tempo perso, condividevano lo spazio e il tempo tanto i giocatori che in mezzo a quelli come me parevano dei fuoriclasse (per poi scaldare in perpetuo la panchina nelle loro squadre ufficiali) quanto quelli che si muovevano sempre fuori tempo e con cui rischiavi una tibia ad ogni contrasto. Nei racconti di Soriano molti dei personaggi ricordano proprio i più divertenti con cui avevo a che fare anch'io e che, nonostante tutto..., chiunque voleva nella sua squadra perché, anche se giocavamo con la voglia di vincere, era meglio farsi due risate e perdere 10 a 1 che vincere e basta. Forse l'avrebbe pensata come me el Gato Díaz, il portiere del rigore più lungo del mondo, ma non di certo quello scaltro del mister Peregrino Fernández. Leggere per credere...