Cominciamo dal contesto. É quello dell’editoria, quello delle premiazioni letterarie, ahimè!, anche quella del Nobel; quindi ambiente patinato, serio, metafisicamente elevato perché si parla di cultura. L’autore, lo si sente, è casa e chiesa con questo mondo e – ed è qui che ci sorprende – ce lo descrive sarcasticamente come una gabbia di criceti, appunto matti, che corrono all’impazzata dietro ai bestseller, a quel libro della Fiera che cambierebbe il mondo di ogni editore. Egli trasforma gli stand austeri della Fiera come se fosse la sala infuocata dello Stock exchange di Chicago dove si combinano traffici più o meno loschi, meno redditizi e più effimeri della sorella bagnata dalle acque del Lago Michigan. E lo fa con una lingua ricca, forbita e cinematografica che si materializza icasticamente in una cascata di scenette strabilianti, di affreschi vividi e ritratti dal tratteggio tanto realistico quanto ironicamente caricati.
Un libro piccolo, un libro senza missione, si direbbe con l’autore, senza pretesa/presunzione, ma un grande divertimento per serate noiose, impallinate da eventi sportivi da mandare nel deserto.