“
Come ho incontrato i pesci”! Colpisce da subito la semplicità, la concisione del titolo che si addice di più ad un libro di pesca per principianti che alla rivisitazione da parte dello scrittore ceco della sua infanzia ed adolescenza. Una rivisitazione particolarissima, filtrata da quell’attività che, in quanto una “delle cose semplici e importanti” - a fronte di quelle “grandi e superflue” – ha accompagnato e segnato tutta la sua vita: la pesca. Ota Pavel non traccia un racconto compiuto delle sue esperienze sotto l’egida di San Pietro, ma offre degli abbozzi di memoria, fotografie dell’iniziazione al mondo dei pesci che si animano magicamente nel ricordo di chi torna ad essere bambino o, piuttosto, nelle profonde acque del suo cuore questo stato di grazia l’ha conservato e ripescato per i lettori: “Mi tiene per mano la mia madrina, che viene da quella meravigliosa città che è la fantasia”. Seguiamo quindi il piccolo Ota quando cattura il suo primo pesce, che “non era un pesce, era un drago, un cavaliere corazzato con una piuma rossa sull’elmo”, quando rievoca il primo barbo che “aveva abboccato alla mia canna” e la lotta titanica che ne seguì tra fanciullo e pesce, quasi fosse il racconto de “Il vecchio e il mare”. Il mondo delle colline boeme e dei suoi fiumi si anima: funghi porcini bianchi, “cocchi di mamma e vecchietti di bell’aspetto” fraternizzano con lo scrittore e, come nelle leggende, sono portatori di presagi “Se ci sono tanti funghi, ci sarà la guerra”, ed effettivamente la guerra arrivò. Il semplice dato temporale si trasfigura nella cronologia delle fiabe: “Quando la luna sarà sparita e le stelle staranno dormendo”. E anche i pesci fanno la loro parte per cui quando “mi ero messo a parlare piano con loro, mi sembrava che aguzzassero le orecchie e ascoltassero”. Ma il “carnevale dell’infanzia” finisce e il nostro Ota, come anche le carpe devono fare i conti con le delusioni, disillusioni e gli inganni del mondo adulto. La convinzione che “al mondo c’è il paradiso” si rivela essere una fiaba e la carpa catturata diventa, assieme al bambino pescatore testimone di questo tradimento.
L’efferatezza degli uomini si palesa con l’occupazione nazista della Cecoslovacchia. I soprusi, le stragi irrompono anche nel mondo naturale per cui le patate che “crescevano sulle tombe degli uomini e dei ragazzi giustiziati a Lidice assomigliavano a dei cuori umani” ed un generale tedesco, dando l’ordine di “Giù la testa a tutti i nemici!” tagliò i tigli frondosi del mitico Miglio Lungo lasciando solo dei monconi. Anche il trasferimento in campo di concentramento di suo padre e dei suoi due fratelli maggiori si lega al mondo ittico quando Hugo sussurra al fratello minore un segreto speciale: “Quando sarete proprio disperati, vai al mulino dei Koniček a prendere la vecchia carpa. … L’avevo nutrita per me col pane fatto in casa. Ma non mi serve più”. Le crudeltà della guerra e degli uomini sono stilettate, stillate di fiele che, irrompendo subitaneamente, non riescono a scalfire e dissolvere la pace e la trasparenza dell’animo umano e del mondo fluviale patrio. La sua visione non sfocia mai in polemica rimembranza, in livore vendicativo, ma filtrata dalle acqua della Moldava e della Berounka, si colora lievemente della tristezza malinconica che emanano anche le dolci ondulazioni dei boschi e campi della Boemia centrale.
Con ciò Ota Pavel non è certo un ingenuo, la trasfigurazione fiabesca dei dati naturalistici ed umani, l’antropizzazione della fauna ittica – per cui il mondo umano e fluviale si fondono, i pescatori si immergono nelle profondità dell’animo ittico e i pesci acquisiscono il dono della parola ed il vizio dell’alcool - generano spesso un’onda di umorismo ed ironia che si abbatte su tutte le nefandezze e tragedie umane. Persino quella personalissima della malattia mentale: “E poi per molto tempo non sono andato a pescare con i miei fratelli. L’oroscopo si è avverato. Sono impazzito io e ho trascorso cinque anni in un istituto per malati di mente. Pesci lì non ce ne sono. Solo re, imperatori, Napoleoni, Cristi, Afroditi, principesse Libuše e Pulzelle d’Orléans”. Il soggiorno in manicomio incide, rispetto alle altre tragedie, maggiormente sul continuum del racconto ma diventa, una volta superato, l’elemento catalizzatore della consapevolezza del Nostro: “La cosa interessante era che dalla mia vita erano sparite tante cose, ma i pesci ci erano rimasti. Erano legati alla natura, dove non passava sobbalzando il ridicolo, sussultante tram della civiltà. … Andavo di nuovo sui torrenti, sui fiumi, sugli stagni e sulle dighe per pescare, mi ero reso conto che proprio quella era la cosa più bella che avevo provato nella vita. Perché era la cosa più bella? Non so spiegarlo di preciso, ma ho cercato di raccontarlo con questo libro”.