Colpisce nell’opera di Platonov – non soltanto qui in
Čevengur, ma anche nel breve romanzo
Mosca felice – la stretta vicinanza dell’autore alle persone in carne ed ossa. Questo suo realismo è quello caro a Tolstoj, il “poeta della carne”, con tutta la sua carica di umanesimo. I protagonisti di Platonov sono o la giovane ragazza della Mosca rivoluzionaria, indomita nella sua forza elementare e un po’ scandalosa nel suo libertinaggio rivoluzionario, o – come nel nostro caso – poveri contadini, comici, tragici e a volte mostruosi nella loro carnalità, ingenui e umanissimi nelle loro speranze, nei loro dolori e nelle loro preoccupazioni scatologiche. Si tratta di un umanesimo vero, che non disconosce punte di poeticità nell’evocazione degli elementi naturali e paesaggistici quotidiani, in contrasto con il metallo freddo o rovente dei macchinari, delle locomotive, emblemi stessi di una rivoluzione futurista che abdica alla dignità del singolo. Tutto questo è il romanzo
Čevengur, un bagno nella calda, umida materia umana che – come nel Don Chisciotte - pur speranzosa non può fare a meno di cogliere con ironia le false tonalità trionfali della rivoluzione dei quadri bolscevichi.