Capo Horn, di Francisco Coloane

"Per abbracciare Coloane occorrono braccia lunghe come fiumi, oppure bisogna essere un vortice di vento che lo avvolge con tanto di barba..." Pablo Neruda

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Andras
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Ultimo aggiornamento: 27/10/2022
Brandelli di terra apparentemente dimenticati da Dio, esposti all’eterno soffio di venti contrapposti come se Eolo fosse, da quelle parti, in preda a convulsioni alterne e contrastanti. Profondi canali e fiordi solcano questo territorio e lo sgranano in una miriade di isole. Bagnano con le loro acque scure di un mare tra i più burrascosi di questo pianeta le pareti scoscese, spesso inaccessibili ed inospitali che si innalzano orgogliose ricoperte da una vegetazione che anch’essa porta i segni delle ferite inflitte da tempeste e intemperie. Brughiere estese, battute dal vento e punteggiate da acquitrini gelidi si alternano con foreste di roveri contorti che sembrano nelle loro radici nodose ed artritiche dita aggrappate alle fredde rocce e nel tronco mani imploranti il lontano e cupo cielo. Su tutto incombono come tante pietre di Sisifo lingue di ghiaccio perenne sovrastate da una fitta coltre di nubi.

Questa è la Terra del Capo Horn, la Terra di Fuoco che malgrado il suo nome riesce con fatica a scaldare i suoi abitanti. Uomini che punteggiati di qua e di là entro uno spazio sterminato come singole gocce di respiro umano, fanno fronte alla solitudine e ad una natura poco amica. Queste creature hanno scelto o furono catapultate dal loro destino a vivere alla fine ed al margine del mondo, lontani dal consesso umano e dalla civilizzazione. E malgrado, o forse proprio a causa della loro marginalità, assurgono nella penna di Francisco Coloane ad eterni simboli, totem, come le cime del Paine o del Cerro Torre, dell’umanità. L’ambiente ostile, che fa da padrone e s’impone prepotentemente sugli animi di questi uomini, scalfisce il loro protagonismo, ma definisce i contorni caratteriali di ognuno in modo più nitido di quanto avvenga nelle strade e case del mondo urbanizzato. Alcuni intorbidiscono le acque della nostra empatia con la loro meschinità, astuzia, malvagità; altri le rischiarano con gesti luminosi nati dalla luce del riscatto interiore e da un sentire umano che oscilla, come un diapason, di vibrazioni mitologiche. Nobili, coraggiosi come Achille, erranti e astuti come Ulisse, ferini e assetati di sangue come Polifemo, tutti si portano addosso, come Tantalo schiacciato dalla rupe, la mole plumbea del Capo Horn.

Francisco Coloane, scrittore e letterato cileno, paragonato per importanza a Joseph Conrad e Herman Melville, narra la sua terra con l’autenticità di chi vi ha vissuto e lavorato. “Più che da maestri e autori, Coloane si sente forgiato dai venti e dalle maree”. Già a 17 anni, orfano di ambedue i genitori, cominciò a lavorare come mandriano nelle sterminate tenute di allevamento delle isole più meridionali dell’emisfero australe per solcare successivamente le sue acque nere e tormentate, come suo padre. “Perché da buon fueghino ha sempre il fagotto pronto per partire e sa che avere piedi in buone condizioni e mani grandi e forti per fare un po’ di tutto è l’unica vera garanzia di libertà.” ¡Qué viva la América!
Consigliato da
Andras
Stimolato alla lettura dei racconti di Capo Horn dal giudizio appassionato e caldo di Luís Sepulveda su Francisco Coloane sono stato folgorato subito dai due protagonisti della raccolta: la natura e l’uomo. Due attori che appaiono in contrasto tra di loro - certo il secondo si trova innanzi alle forze del primo che rischiano di silurarlo nelle sue fondamenta fisiche e psicologiche – ma per uno strano gioco di simbiosi natura e uomini si elevano a due grandezze indispensabili l’un dell’altro. L’uomo che resiste al mondo selvaggio porta poi fatalmente dentro di sé gli stessi segni di quella natura. “Inselvatichisce” anche lui, tanto che, suo malgrado, si ammanta di una corteccia ruvida e frastagliata che fa uscire soltanto i gesti, e non i sentimenti e le sensazioni del suo animo. Ma questi gesti scarnificati proiettano i riflessi della sua psiche con ancor maggiore intensità che non le piane disquisizioni psicologiche dell’uomo urbano. É in qualche senso come se le immani potenze della natura ci riportassero al big bang del nostro essere uomini riducendo la nostra complessità, le nostre contorsioni ed i nostri contrasti al dunque. É questo il fascino che Coloane sentiva per tutta la sua vita e che lo spingeva a continui ritorni nella sua amata terra, Santiago – Magallanes. Lo stesso che io sentivo durante la lettura dei suoi racconti e che sento di fronte all’immensità delle montagne e del mare.
copertina Capo Horn

Capo Horn

Coloane, Francisco
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