Fare un film sulla vita di Emily Dickinson, a mio parere, non è per niente semplice. Il passaggio dalla trasgressione giovanile alla completa repulsione verso il mondo in età adulta, sfoggiata nella sua autoreclusione definitiva, poteva rivelarsi un problema per un regista. Quando mi sono approcciata al film, già conoscendo la vita dell'autrice, temevo un film cupo e tetro. Con mia sorpresa, mi sono ricreduta. È innanzitutto molto fedele nel raccontare la vita dell'autrice: iconica la scena nel College di Mount Holyoke dove una giovane Emily si rifiuta di professarsi cristiana. L'immagine dell'autrice che ne esce è quella di una Dickinson ferma nelle sue posizioni proto femministe e fieramente contrarie al bigotto pigolio dei pur abolizionisti borghesi americani. L'autoreclusione non viene raccontata dal regista come una cosa negativa, ma come un normale e scontato sviluppo del suo pensiero. Terence Davies è riuscito a non essere scontato, trasformando una vita di reclusione, con la vista di solo quattro muri, in una piacevole esperienza per lo spettatore, immergendolo totalmente in una delle liriche dell'inimitabile poetessa americana. Infatti durante il film, la Dickinson legge varie poesie. Ecco allora che conosciamo i veri pensieri di questa grande autrice, donna dalla sensibilità acuta, per la quale la società americana dell'epoca risulta essere una gabbia. Un altro elemento di questo film che mi ha colpito è la forza dei suoi dialoghi colorati da ironia, i quali rendono più piacevole la visione.
Concludendo, il regista inglese Davies è riuscito dove altri hanno fallito, confezionando un biopic a volte divertente, a volte poetico che sa anche far riflettere.